«Più di 300 degli ergastolani ostativi che collaborano con la giustizia sono ancora detenuti, a riprova che non ci sono benefici penitenziari automatici per chi decide di parlare e di aiutare gli investigatori». È il nodo della questione esaminata dalla Corte costituzionale nell’udienza pubblica di ieri, ed è così che lo affronta l’avvocata Mirna Raschi, tra i difensori dei due ergastolani – Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone – dai cui ricorsi in Cassazione e al Tribunale di sorveglianza di Perugia è scaturita l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata per l’art. 4-bis della legge 354/1975.

È attesa per oggi la sentenza che potrebbe dichiarare incompatibile con gli articoli 3 (principio di ragionevolezza) e 27 (funzione rieducativa della pena) della Costituzione quella norma che preclude qualunque beneficio penitenziario per gli ergastolani ostativi (sono 1250 attualmente) che non collaborano con la giustizia. In questo caso si eliminerebbe l’automatismo di legge e si lascerebbe al magistrato di sorveglianza la decisione, caso per caso. Oppure, come ha spiegato ieri il costituzionalista Marco Ruotolo dalle pagine di questo giornale, la Corte delle leggi potrebbe diversificare l’applicazione del 4 bis, distinguendo gli affiliati alle cosche mafiose da coloro che ne sono estranei pur avendo usato nei loro crimini il metodo mafioso.

Anche se nei ricorsi presentati non si menziona il rispetto degli obblighi internazionali, la decisione della Consulta sarà inevitabilmente condizionata in qualche modo dalla recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani, che ha ritenuto l’ergastolo ostativo un regime che lede la dignità umana. Il giudice relatore Nicolò Zanon però ha premesso che «il tema presenta soltanto una coincidenza temporale, come talora può accadere, con la decisione espressa dalla Corte Ue». Nel caso specifico, infatti, spiega Zanon, non si tratta di abolire la norma ma di discutere la specifica richiesta di usufruire del permesso premio.

Per l’Avvocatura dello Stato l’incostituzionalità va negata: «Non si demolisca una norma che ha sempre funzionato nella lotta alla mafia e al terrorismo – chiedono gli avvocati Marco Corsini e Maurizio Greco – e che costituisce un incentivo alla collaborazione». Viceversa, per i difensori degli ergastolani la mancata collaborazione non presuppone di per sé il mantenimento del legame con il clan. «È fuori dalla realtà sostenere che non ci sarebbe più alcuna collaborazione – ha fatto poi notare l’avvocato Michele Passione – perché i benefici per chi collabora resterebbero tutti».

Spiegano i difensori che, dopo tanti anni di reclusione, i condannati potrebbero aver subito «un cambiamento fortissimo» eppure non essere ancora disposti, per diverse ragioni, compresa la paura per le ritorsioni verso i propri familiari, a dichiararsi «pentiti». D’altronde, la stessa Avvocatura dello Stato ha snocciolato le cifre: sarebbero cinque mediamente i familiari sotto protezione per ogni collaboratore di giustizia (in tutto 6 mila). «Il Tribunale di sorveglianza – ha aggiunto l’avvocata Raschi – deve poter valutare le ragioni del silenzio opposto da determinati detenuti. La concessione del permesso premio sarebbe da stimolo a vedere la luce in fondo al tunnel». Un tunnel che invece alcune associazioni di familiari delle vittime di mafia vorrebbero sapere senza uscita.

Nell’udienza pubblica di ieri però la Corte costituzionale ha deciso di rigettare la costituzione in giudizio del Garante nazionale dei detenuti, dell’Unione delle Camere penali, dell’ergastolano Marcello Dell’Anna e dell’associazione radicale Nessuno tocchi Caino. «Basta con i falsi allarmismi – hanno commentato i dirigenti di Nessuno tocchi Caino – La fine della collaborazione con la giustizia come unico criterio di valutazione del ravvedimento non farà altro che restituire ai magistrati di sorveglianza un potere che prima del 1992 avevano e cioè quello di valutare caso per caso, sentita la Procura antimafia, il cambiamento del detenuto e l’attualità o meno della sua pericolosità».

Sergio d’Elia, Rita Bernardini, Maria Brucale ed Elisabetta Zamparutti si sono detti «fiduciosi nei confronti della Corte e anche se non ammessi come terza parte interveniente continueremo a monitorare l’attuazione della sentenza Viola vs Italia. A tal fine abbiamo comunicato al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa di tenere conto del monitoraggio che Nessuno tocchi Caino condurrà sull’esecuzione della sentenza Edu. Inoltre, abbiamo incardinato la prima azione collettiva di 252 ergastolani ostativi al Comitato Diritti Umani dell’Onu e abbiamo sollevato il problema anche nel processo di Revisione periodica universale nei confronti dell’Italia che sarà discusso a novembre a Ginevra».