Il Movimento 5 Stelle esulta e anche il Pd mostra una discreta soddisfazione. Ma il testo sul cosiddetto “ergastolo ostativo”, licenziato ieri dalla Camera con 285 voti a favore, 47 astenuti (tra i quali +Europa e Italia viva) e un voto contrario, si discosta in molti punti dalla direzione indicata nella sentenza n.97 dell’aprile 2021 con la quale la Corte costituzionale ha giudicato illegittima l’attuale legislazione che vieta la liberazione condizionale e i benefici penitenziari (lavori esterni, permessi premio, ecc) ai detenuti o agli internati che non collaborino con la giustizia. A maggio prossimo scadrà l’anno di tempo che i giudici costituzionali diedero al legislatore per sanare questa stortura del nostro ordinamento.

MA SE PER LA CONSULTA non si può chiudere la porta del carcere «in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia», perché non sempre la collaborazione nelle indagini è segno di vero ravvedimento né viceversa, il testo messo a punto in commissione Giustizia (relatore il pentastellato Mario Perantoni), ed emendato ieri prima del voto finale, pone ulteriori paletti (la concedibilità dei benefici viene preclusa se vi è stata «collaborazione inutile» o «irrilevante») e, per quanto riguarda l’ergastolo, aumenta da ventisei a trenta anni la pena da scontare prima di poter presentare l’istanza di liberazione condizionale. E anche se il presidente della Camera Roberto Fico ha definito il testo che deve ora passare all’esame del Senato «un intervento normativo importante e necessario per la lotta alla mafia», nell’ostatività finiscono anche i reati contro la pubblica amministrazione, proprio insieme ai delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione dell’ordine democratico, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, sequestro di persona e così via.

IL TENTATIVO del deputato di +Europa, Riccardo Magi, di correggere con un emendamento questa «abnormità» dovuta alla cosiddetta “Spazzacorrotti” del 2019 precipitata nell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, quello che norma il regime ostativo, è naufragato in un voto a scrutinio segreto chiesto da Fratelli d’Italia. «All’epoca del voto sulla Spazzacorrotti Forza Italia aveva presentato una bella pregiudiziale di costituzionalità anche con riferimento a questa parte della legge – ha detto Magi in Aula presentando il suo emendamento – il Pd aveva votato contro, definendo lo Spazzacorrotti una norma “spazza diritto”, la Lega aveva votato favorevolmente rinnegando poi quella scelta al punto di promuovere i referendum per la giustizia giusta». Eppure la correzione di +Europa che eliminava i reati contro la Pa dal 4 bis ha convinto solo Italia viva, mentre FI ha lasciato libertà di scelta. Risultato: 121 voti a favore, 227 contrari.

Una bocciatura che il presidente dell’Unione delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, definisce «sconfortante» perché l’emendamento Magi «avrebbe posto fine ad una norma insensata, pericolosa e demagogica». «L’equiparazione ai fini delle modalità esecutive della pena del reato di corruzione a quelli di mafia – denuncia Caiazza – è figlia della follia populista e giustizialista che ha travolto il nostro Paese, e della sua ossessione punitiva. La graduazione della diversa gravità dei reati appartiene da sempre ai più elementari principi dì civiltà giuridica».

Altri emendamenti proposti dalla maggioranza sono invece stati approvati. In particolare quello che prevede che i benefici penitenziari possano essere concessi dal Tribunale di sorveglianza «al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo dello speciale regime sia stato revocato o non prorogato» dal Ministero della Giustizia. La domanda dei benefici penitenziari, da parte del detenuto, può essere presentata, ribadisce il testo, così come ha stabilito la sentenza della Cassazione del 2020 e della Corte costituzionale 253/2019.

QUELLA varata ieri dalla Camera è, secondo Leu, «una buona riforma», ma per associazioni quali «Nessuno tocchi Caino» e Antigone invece è come minimo «un’occasione persa». Lo dice Patrizio Gonnella che di Antigone è presidente: «Il legislatore è rimasto imprigionato nella paura di fare un regalo alle mafie, innovando in modo non sufficiente la legislazione penitenziaria» e con «finanche un inutile aggravamento della disciplina».