Dopo anni di accuse ai paesi europei, alla Nato e agli Usa, Erdogan fa appello a Washington e al sodalizio franco-tedesco a sostenerlo nella crisi in Siria che sta frantumando i legami che aveva costruito con Mosca. Il suo obiettivo è ottenere appoggi a una tregua immediata che impedisca all’esercito siriano di liberare, con l’aiuto dell’aviazione russa, la provincia di Idlib dalle organizzazioni jihadiste finanziate e armate proprio dalla Turchia. Ma vuole anche la “zona cuscinetto” in territorio siriano che era e resta centrale nella sua strategia. Presentandosi come il protettore dei civili in fuga dalla guerra – lui che ha massacrato tanti curdi siriani lo scorso autunno – Erdogan ieri in teleconferenza con Angela Merkel ed Emmanuel Macron ha chiesto a Germania e Francia «un forte sostegno con azioni concrete» per affrontare la «crisi umanitaria». E ha chiesto di fermare subito l’offensiva governativa siriana che rischia di riversare in Turchia altre centinaia di migliaia di profughi.

 

Erdogan si è detto in guerra con la Siria. «Posso dire che al momento a Idlib è in corso una guerra» dei ribelli (i jihadisti) e delle forze turche che li sostengono contro l’esercito siriano appoggiato dalla Russia, ha detto il leader turco facendo l’elenco delle perdite che le forze turche avrebbero causato a quelle di Damasco negli ultimi giorni: 150 soldati uccisi o feriti (la Siria non conferma), 12 tank, tre blindati e 14 pezzi di artiglieria. «Finché il regime non fermerà la persecuzione contro il popolo di Idlib, per noi sarà impossibile ritirarci – ha aggiunto – possiamo però raggiungere un cessate il fuoco. Abbiamo fatto un nuovo passo verso una zona di sicurezza di 25-30 chilometri quadrati. Continuiamo a lavorare in questo senso». Ankara, si dice, intenderebbe schierare a ridosso del confine due batterie di missili Patriot come deterrente nei confronti dell’aviazione siriana (anche quella russa?), operate da personale statunitense. Washington non ha interesse a concederle se prima la Turchia non rinuncerà a schierare il sistema missilistico antiaereo russo S-400 che preoccupa, e non poco, gli Usa e la Nato. Su questo punto la distanza tra le due parti non appare colmabile. «La Turchia attiverà gli S-400 in primavera», ha confermato giovedì il ministro della difesa turco Hulusi Akar.

 

Erdogan sa che gli conviene di più una nuova intesa con Putin su Idlib, nonostante i proclami di battaglia fatti dopo l’uccisione di soldati turchi nei bombardamenti russi. Nel colloquio telefonico avuto ieri sera con Putin, Erdogan ha ripetuto la richiesta di fermare l’avanzata delle truppe siriane e di trovare una soluzione nel quadro degli accordi di Sochi del 2018. Accordi che la Turchia non ha rispettato visto che non ha mai disarmato i jihadisti. E questo ha innescato l’offensiva siriana.

 

Sulle relazioni tra Ankara e Mosca pesano inoltre i rapporti economici. Le tensioni stanno frenando le esportazioni di frutta ed ortaggi e di altri prodotti turchi (quasi quattro miliardi di dollari all’anno) verso la Russia. La Turchia deve tener conto anche delle forniture di gas russo e che a Istanbul e in altre località turche arrivano annualmente milioni di turisti: una manna per l’economia turca in seria difficoltà. Putin perciò ha il coltello dalla parte del manico. Ankara già pagò un prezzo alto nel 2015 distrusse un jet militare russo oltre il confine con la Siria, senza poi soddisfare la richiesta di Putin di scuse immediate. Le sanzioni russe nel 2016 comportarono una riduzione dell’import turco del 52%. Poi è arrivata la riconciliazione, quindi le intese di Astana sulla Siria e l’accordo di Sochi su Idlib. Ora Putin chiarisce ad Erdogan chi è il più forte.