Non si allenta la tensione che da mesi investe i rapporti tra Germania e Turchia. Ieri l’ambasciatore tedesco ad Ankara Erdmann ha fatto visita in carcere al giornalista di Die Welt Deniz Yucel (di cittadinanza tedesca e turca), arrestato a febbraio con l’accusa di «propaganda terroristica».

Il caso di Yucel e degli altri 22 cittadini tedeschi detenuti dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016 congela rapporti ai minimi storici, con il fondo raschiato a aprile quando alcune città tedesche vietarono i comizi dei ministri di Ankara in vista del referendum costituzionale.

Dopo Yucel, Erdmann incontrerà oggi Peter Steudtner, attivista di Amnesty arrestato un mese fa insieme ai vertici turchi dell’associazione.

In mezzo, il caso dello scrittore turco-tedesco Dogan Akhanli, fermato in Spagna su richiesta turca e poi rilasciato, e gli appelli lanciati dal presidente Erdogan ai turchi di Germania: non votate Merkel né Spd. Una reazione, sostiene Erdogan, alle interferenze di Berlino sulle questioni interne al suo paese.

Ma la deriva autoritaria turca non interessa solo la Germania. Ieri il commissario all’allargamento dell’Unione Europea, Johannes Hahn, è tornato sull’annosa questione dell’adesione di Ankara alla Ue: «Credo sia arrivato il momento di discutere con gli Stati membri su quali conseguenze ci debbano essere rispetto a questo comportamento – ha detto in riferimento alla richiesta di arresto di Akhanli – Stringere le spalle alla lunga non è una strategia». Trattative «de facto congelate», come del resto lo sono da anni.

Erdogan non si fa intimorire e prosegue per la strada intrapresa anni fa e visibile agli occhi europei solo da qualche mese.

La repressione interna non cessa e potrebbe inasprirsi: ieri, ribadendo l’intenzione di schiacciare il movimento kurdo nel sud-est turco e nel nord della Siria, ha promesso di estendere ancora lo stato di emergenza, attivo dal luglio 2016 e strumento principe per l’arresto di 50mila persone e il licenziamento di 110mila.

L’ultimo intervento è di ieri: la polizia ha arrestato a Istanbul l’ex portiere della nazionale di calcio, Omer Catkic, sospettato – come gli altri prima di lui – di far parte del movimento Hizmet dell’imam Gülen, considerato la mente del tentato putsch.

L’accusa si basa sull’utilizzo dell’application ByLock, secondo il governo il mezzo usato dai golpisti per inviarsi messaggi senza essere intercettati.