Le truppe turche e i mercenari dell’Esercito libero siriano (Els) sono a pochi chilometri da Afrin, l’enclave curda nel nord siriano, e Recep Tayyip Erdogan alza ancora la posta. L’offensiva “Ramo d’olivo” cominciata il 20 gennaio ed entrata nella sua seconda fase il 2 marzo, sarà estesa fino al confine con l’Iraq, compresa Kobane, ha annunciato ieri il presidente turco in un discorso televisivo pronunciato a Mersin. Ankara pur di ottenere i suoi obiettivi non si fa scrupolo di prendere di mira anche Kobane, la città divenuta famosa nel 2015 per la resistenza e l’orgoglio dei combattenti curdi capaci, dopo aver subito un assedio di quattro, di capovolgere le sorti della battaglia e di infliggere la prima sconfitta ai jihadisti dello Stato Islamico. Ad Erdogan non importa nulla del coraggio dimostrato in quella occasione dai curdi. «Una volta che Afrin sarà purificata dai terroristi, ripuliremo anche Manbji, Ayn al Arab (nome arabo di Kobane, ndr), Tal Abyad, Ras al Ain e Qamishli», ha avvertito.

In quello stesso momento a centinaia di chilometri più a sud, l’esercito siriano continuava ad avanzare all’interno di Ghouta Est, la zona a ridosso di Damasco dal 2012 nelle mani di Jaish al Islam, Failaq ar Rahman e altri gruppi jihadisti e salafiti appoggiati da miliziani giunti da altri Paesi e finanziati dall’Arabia saudita. Le truppe governative ora controllano circa il 40% della Ghouta orientale e sono riuscite a spaccare l’area in tre parti isolando Douma e prendendo il controllo della strada che da questa città porta ad Harasta. Infine nelle ultime ore hanno ripreso anche Misraba, malgrado Jaish all’Islam e altri gruppi sostengano di aver respinto l’offensiva governativa. All’interno di questa enorme zona di combattimento ci sono diverse decine di migliaia – centinaia di migliaia secondo altre stime – di civili soggetti a cannoneggiamenti, bombardamenti e tiri dei cecchini. Uomini, donne e bambini che non riescono a mettersi in salvo nonostante il corridoio umanitario aperto dall’esercito a Wafedin su richiesta del presidente russo Putin, perché i jihadisti non lo consentono. Lo afferma anche Sajjad Malik, il rappresentante dell’Unhcr in Siria, che tuttavia ha anche denunciato i raid aerei governativi. Sino ad oggi solo un pugno di civili ha potuto mettersi in salvo. Quasi mille invece, secondo fonti legate all’opposizione siriana, sono rimasti uccisi in bombardamenti aerei e combattimenti. Malik nei giorni scorsi è riuscito a portare aiuti umanitari alla popolazione della Ghouta e ha riferito di una situazione drammatica. Ieri comunque qualcuno è riuscito a lasciare la zona dei combattimenti. Si tratta di 13 uomini di Hayat Tahrir al-Sham, la coalizione armata controllata dal An Nusra, il braccio siriano di al Qaeda. Erano stati presi prigionieri da Jaish al Islam durante uno dei numerosi e frequenti litigi tra i vari gruppi islamici radicali che impropriamente vengono definiti “ribelli” dai media internazionali.

La Turchia ha preso il controllo di circa 850 kmq nell’area di Afrin e il suo obiettivo è di occupare circa 2 mila kmq nel nord della Siria, ha spiegato Erdogan. E il contributo dell’Els all’offensiva turca si sta rivelando decisivo. I mercenari ieri hanno conquistato altri villaggi a nord di Afrin: Qurt Qulaq Kafr Rum, Horan, al Tiflah e Zamalqah. Ankara e i suoi alleati intendono eliminare dal confine turco-siriano i combattenti curdi delle Ypg e il loro partito, l’Unione democratica, che considerano “terroristi” perché legati al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che da anni lotta per i diritti dei curdi in Turchia. Erdogan ieri non ha avuto riguardi neppure per la Nato che ha accusato di avere doppi standard nella sua politica e di aver negato sostegno alla Turchia (Paese membro del Patto Atlantico). Il suo ministro degli esteri, Mevlut Cavusoglu, invece ha annunciato che Stati Uniti e Turchia hanno raggiunto un’intesa comune per la «stabilizzazione della città di Manbij», nel nord della Siria e di altre città ad est del fiume Eufrate. Ankara chiede che Washington metta fine a qualsiasi sostegno al sostegno alle formazioni combattenti curde.