Recep Tayyip Erdogan non si è piegato alle critiche dell’Unione europea, dopo l’ondata di arresti dei giorni scorsi in Turchia. L’Ue si «occupi dei fatti propri e non interferisca con le misure intraprese e con lo stato di diritto contro elementi che minacciano la nostra sicurezza», ha tuonato il presidente turco. Tra rigide misure di sicurezza, la polizia turca ha continuato gli interrogatori di 24 delle 27 persone arrestate (tra cui il direttore del quotidiano di opposizione Zaman, Ekrem Dumanli) in 13 città nell’ambito di un’operazione che ha preso di mira giornali e televisioni critici verso il presidente islamista moderato.

Il bersaglio principale dell’operazione sono le testate giornalistiche e personaggi dell’impero mediatico Samanyolu, vicino a Fethullah Gülen, l’islamista in esilio negli Stati uniti dal 1999, che dopo essere stato alleato di Erdogan ha lanciato una campagna contro il presidente turco, al potere dal 2002. Gli arrestati sono accusati di coinvolgimento in un’organizzazione terroristica (in riferimento a Hizmet, il movimento fondato da Gülen). Fikret Duran, avvocato di Hayrettin Karaca, presidente dell’impero mediatico finito nel mirino della magistratura, ha spiegato che gli interrogatori si sono concentrati fin qui in particolare sulle serie televisive finanziate dal colosso.

Gli arrestati sono alti funzionari di mezzi di informazione, direttori e produttori di popolari serie televisive, ma c’è anche qualche poliziotto, secondo gli investigatori accomodante nei confronti di Gülen, la cui rete è accusata dal Partito Giustizia e Sviluppo (Akp), guidato da Erdogan, di costituire una sorta di «Stato nello stato»: di controllare cioè istituzioni parallele, corrotte, e responsabili di frode e calunnia. L’ondata di arresti non ha quindi solo lo scopo di limitare la libertà di stampa nel paese, come hanno sottolineato i media mainstream occidentali, ma anche di toccare i privilegi di una figura molto controversa in Turchia, l’imam, Fetullah Gülen, le cui imprese vengono spesso boicottate da molti turchi, contrari alla commistione tra islamismo radicale e politica.

In seguito agli arresti, la prima a stigmatizzare i limiti alle libertà di espressione in Turchia è stata l’Ue per bocca del presidente del parlamento di Bruxelles, Martin Shulz. «La libertà di stampa e il pluralismo dei media sono valori fondamentali dell’Ue», ha esordito il politico nella seduta plenaria di oggi a Strasburgo, annunciando che mercoledì gli euro-parlamentari parleranno di libertà di stampa in Turchia. Shultz ha detto di essere «rimasto sconvolto» dalla notizia dei raid. Gli hanno fatto eco i leader dei maggiori gruppi parlamentari di Strasburgo, inclusi i Social democratici (Sd).

L’alto rappresentate per la politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini ha cercato di gettare acqua sul fuoco. «Prendiamo molto seriamente i nostri negoziati con la Turchia in quanto paese candidato e dobbiamo quindi sottolineare i problemi così come i progressi», ha ammesso. Mogherini si è detta poi sorpresa dalla reazione di Erdogan alle critiche dell’Unione europea e di confidare sul fatto che con la nuova Commissione è possibile pensare a «una nuova partenza» dei negoziati per l’ingresso di Ankara nell’Ue.

Anche l’editorialista del quotidiano Zaman, Kerim Balci, sfuggito alla retata, ha duramente stigmatizzato gli arresti, parlando di «errore grave», commesso da Erdogan. Secondo Balci, il leader dell’Akp otterrà il «risultato opposto» a quello sperato, rafforzando i suoi oppositori. «L’operazione – ha denunciato senza mezzi termini Balci – è una vendetta del presidente per la vicenda dello scandalo in materia di corruzione», che ancora una volta, alla fine del 2013 aveva quasi fatto cadere il governo dell’allora premier Erdogan. Non solo, con questi arresti, secondo Balci, Erdogan ha «fornito una prova» senza precedenti all’opposizione sulle sue reali intenzioni. «Ci aspettavamo la retata anche se non credevo che si partisse dai vertici. Mi aspettavo che avrebbero arrestato me, ma non il direttore Dumanli. Questo è stato l’errore di Erdogan, che ha scatenato uno scandalo internazionale, spingendo l’Ue e gli Usa a denunciare il suo operato», ha aggiunto.

Tre persone sono state rilasciate dopo essere state interrogate nella notte. Davanti alla sede della Direzione generale di sicurezza di Ankara, dove si svolgono gli interrogatori, un migliaio di persone hanno inscenato una protesta per chiedere la liberazione dei detenuti.