Recep Tayyip Erdogan ha annunciato ieri l’inizio di una nuova operazione militare nella provincia di Idlib, in Siria, con la copertura aerea russa. Di fatto è un proseguimento di “Scudo dell’Eufrate”, la campagna militare turca partita ad agosto del 2016 e terminata lo scorso marzo. Parlando ad una riunione del suo partito, l’Akp, il presidente turco ha spiegato che l’operazione punta ad «assicurare la sicurezza di Idlib» e che ad essa potrebbero seguirne altre. Per ora i soldati turchi non avrebbero ancora messo piede in territorio siriano. «Al momento l’Els sta portando avanti l’operazione e i nostri militari non sono lì», ha precisato Erdogan riferendosi agli uomini del cosiddetto Esercito libero siriano che Ankara addestra e arma da anni in funzione anti Damasco. Reparti militari turchi veri e propri, “forze speciali” secondo l’agenzia Anadolu, sono comunque schierati lungo il confine, in particolare a Reyhanli, nella provincia di Hatay. I soldati di Ankara installeranno torrette di osservazione e avranno il compito di monitorare la tregua in vigore tra le forze governative siriane e quelle di Hay’at Tahrir al Sham – il fronte guidato da an Nusra (al Qaeda) che ha il controllo di buona parte della provincia di Idlib – nel quadro dell’accordo raggiunto all’ultimo round dei colloqui inter-siriani di Astana tra Turchia, Russia e Iran sulle zone di de-escalation.

Anche questa volta Erdogan, che per anni ha sponsorizzato le forze jihadiste in Siria, sostiene che il fine dell’operazione è quello di combattere il terrorismo. Il 24 agosto di un anno fa parlava di Daesh (l’Isis), adesso di “terroristi” in un vago riferimento ai suoi ex protetti di an Nusra. Gli obiettivi del leader turco in Siria, nonostante l’intesa che ora mantiene con la Russia alleata di Damasco, comunque sono quelli di sempre. Sostenere l’Els, la milizia legata all’Alto Consiglio per i Negoziati (opposizione anti-Damasco), e spegnere le velleità dei curdi siriani alleati del Pkk in Turchia. Un anno fa Ankara bloccò l’avanzata delle Fds (Forze democratiche siriane) create dagli Stati Uniti e formate principalmente dalle Ypg curde (Unità di Protezione Popolare) ma considerate dai turchi come “terroriste”. “Scudo dell’Eufrate” ricacciò i combattenti curdi a est del fiume Eufrate in maniera di dividere il territorio del Rojava (Kurdistan siriano) in due parti. L’operazione in definitiva puntava a costituire una zona cuscinetto – Jarabulus, Manbij e al Bab – per far meglio posizionare le milizie alleate di Ahrar al Sham (salafiti) e Els. Erdogan lanciò un avvertimento: se tale confine fosse stato superato allora sarebbero entrate in azione, massicciamente, le forze armate turche. Poi lo scorso marzo l’annuncio della fine di “Scudo dell’Eufrate” al quale è seguito un capitolo iracheno, sempre in funzione anti-curda, per reclamare, battendo il pugno sul tavolo, un ruolo da protagonista per la Turchia in qualsiasi soluzione politica per Siria e Iraq. «La Turchia sostiene l’integrità territoriale di Siria e Iraq» ripetono Erdogan e i suoi ministri. La verità è che anche questa operazione nella provincia di Idlib, seppur ufficialmente inserita nelle intese di Astana, è coerente con il progetto del leader turco di frammentare, di fatto se non ufficialmente, la Siria e di indebolirla.

L’esercito siriano intanto continua la sua lenta riconquista dei territori occupati da Daesh nella parte orientale del Paese, in particolare attorno alla città di Mayadin, ripresa in parte nelle ultime ore. Le forze governative e quelle alleate avanzano, riferiva ieri la tv panaraba al Mayadeen, verso le Fattorie di Shibl in direzione di Abukamal, ultima cittadina siriana sull’Eufrate prima del confine iracheno. Perduta il mese scorso, ma non del tutto, la città di Deir Ezzor, Daesh ha la sua ultima roccaforte nell’Est della Siria proprio in Mayadin. In quella zona si stanno concentrando anche i bombardamenti aerei russi che ieri, in un solo giorno, avrebbero ucciso 120 uomini di Daesh e 60 jihadisti stranieri.