Il 19 marzo era sembrato soltanto un altro giorno di ordinaria repressione. Un gruppo di studenti dell’Università Bogazici di Istanbul, appartenenti all’associazione studentesca islamica Bisak, organizza uno stand per distribuire ai passanti lokkum, un dolce turco che si offre in occasioni delle celebrazioni. L’occasione è il ricordo dei 46 soldati – li chiamano martiri – uccisi nel corso dell’operazione Ramo d’Ulivo ad Afrin.

UN SECONDO GRUPPO di studenti, in aperta opposizione alle logiche di propaganda di guerra, si schiera poco lontano con uno striscione che recita: «L’occupazione e il massacro non si celebrano con un lokkum». La tensione si alza presto, i due assembramenti sono vicini, scappa qualche spintone, alcuni vengono alle mani. Intervengono a separarli i poliziotti in borghese da tempo presenti in tutti i campus universitari del paese, infine la vice-rettrice riesce a placare gli animi e a convincere i due gruppi a ritirare i rispettivi stand e striscioni.

POI TUTTO PRECIPITA. Sui social media cominciano a comparire post e video che denunciano l’aggressione nei confronti dello stand di Bisak, un appello subito raccolto dai media vicini al governo, che chiedono l’intervento delle autorità. La sezione giovanile locale del partito Akp sporge denuncia contro gli studenti oppositori accusandoli di «terrorismo». Il 22 marzo, all’alba, la polizia interviene e arresta 5 studenti.

Poche ore per mobilitarsi e le variegate organizzazioni della sinistra studentesca annunciano una conferenza stampa per chiedere la scarcerazione dei compagni di studi, ma non riusciranno mai a concluderla: per la prima volta nella storia dell’università, le forze dell’antiterrorismo entrano nel campus nord e trascinano via altri sette studenti, che verranno rilasciati solo il giorno dopo.

POI ARRIVANO LE PAROLE che pesano davvero, quelle del presidente della repubblica Recep Tayyip Erdogan, che il 24 marzo da un palco allestito nella città di Samsun, nel nord del paese, denuncia «la gioventù comunista e traditrice» che ha osato mettere i bastoni tra le ruote a uno stand gestito dalla «gioventù locale, religiosa e nazionalista». E minaccia: «Non concederemo a questa gioventù terrorista il diritto allo studio» e promette l’espulsione dall’università degli studenti coinvolti.

La Presidenza dell’università ha rilasciato un comunicato in cui definisce l’attacco allo stand «un atto inaccettabile per ogni patriota» e ha disposto l’avvio di procedure disciplinari. Il Consiglio per l’educazione superiore, che supervisiona le università, ha annunciato che verrà rivisto il regolamento per «evitare incidenti che provocano l’indignazione pubblica», anche se non è chiaro se si tenterà di applicarlo retroattivamente agli studenti arrestati.

La mattina del 26 marzo nuovi raid dell’antiterrorismo, nei dormitori e persino nella libreria dell’università Bogazici: altri sette arresti tra gli studenti, mentre ancora non si sa se altri nomi siano presenti nelle liste della polizia.

«Alcuni degli studenti arrestati hanno subito percosse nelle auto e nelle camionette della polizia, hanno negato loro le visite mediche previste in seguito alla detenzione» commenta uno studente che attende notizie suoi suoi amici arrestati. Racconta che i bar e i locali attorno all’università pullulano di polizia che controlla documenti a tappeto e denuncia: «Hanno trasformato un incidente tra due gruppi universitari in una vera e propria caccia alle streghe».