Erdogan ha iniziato ad amministrare i tre miliardi di euro stanziati dall’Ue per fermare i profughi. Ankara ha arrestato in un colpo solo non gli scafisti ma 1300 richiedenti asilo: il più imponente arresto di rifugiati in un solo giorno da mesi. Centinaia di siriani, afghani, iraniani e iracheni sono stati fermati a Ayvacik mentre stavano per lasciare le coste turche per raggiungere l’isola greca di Lesbo. Ormai Ankara è come Tripoli per l’Ue finché si governa sulle spalle dei migranti tutto è lecito. Sono 80mila i profughi arrestati dalle autorità turche dal 2014 a oggi. Ieri tre persone sono morte e 30 risultano disperse nel naufragio di un barcone al largo di Cesme, sulla costa del Mar Egeo.

02est4f01 piccola erdogan reuters 27
Ma a far saltare più di ogni altra cosa gli equilibri regionali, è l’atteggiamento di Ankara verso lo Stato islamico. Il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, ha incontrato Erdogan a margine della conferenza sul clima di Parigi per discutere delle tensioni tra Ankara e Mosca dopo l’abbattimento del Sukhoi Su-24 russo della scorsa settimana al confine tra Turchia e Siria. «Gli Stati uniti sostengono il diritto turco a difendere il suo spazio aereo», ha confermato Obama che ha anche auspicato la fine dell’escalation di tensioni tra i due paesi che ha portato a serie sanzioni russe contro prodotti, turisti e visti di lavoro. Obama ha aggiunto che gli Usa vogliono rafforzare la cooperazione militare con la Turchia con il sostegno della Nato di cui Ankara è stato membro.
Lunedì scorso, Vladimir Putin, aveva accusato Ankara di aver colpito il bombardiere russo «per assicurare forniture illegali di petrolio da Is alla Turchia». Secondo Mosca, sono migliaia i camion che sistematicamente, «su scala industriale», passerebbero attraverso il confine tra Turchia e Siria con forniture petrolifere, in entrata, armi e uomini per Is, in uscita. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha assicurato che rassegnerà le sue dimissioni qualora queste accuse venissero provate.

Ma Putin ha rincarato la dose e ha anche accusato la Turchia di ospitare organizzazioni terroristiche che operano in varie regioni russe, incluso il Caucaso. L’Su-24 è stato abbattuto sui cieli del Nord della Siria mentre attaccava i ribelli turcomanni, sostenuti da Ankara, e un gruppo di jihadisti ceceni.
La diplomazia parallela non si ferma. Il premier turco, Ahmet Davutoglu, il cui esecutivo ha ottenuto ieri la fiducia del parlamento, ha chiesto alle autorità russe l’apertura di un canale diplomatico, dopo il rifiuto di Putin di incontrare Erdogan durante il meeting di Parigi. «Non ci possiamo scusare per aver fatto il nostro dovere: è una questione di dignità», aveva detto Davutoglu a Bruxelles, nel suo incontro di lunedì con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

In merito al conflitto siriano poi, Obama si è detto fiducioso nel fatto che Putin, anche se non dovesse cambiare del tutto i suoi piani, potrebbe sostenere una soluzione politica che comprenda l’uscita di scena di al-Assad. Obama ha aggiunto che anche l’invio di truppe di terra non sarebbe sostitutivo di una transizione politica. E ha chiesto a Erdogan di controllare con accuratezza il confine siriano per fermare i rifornimenti di Is.

Mentre Londra scalda i motori per accodarsi a Francia e Germania e attaccare Is in Siria, nonostante la dura opposizione del Labour di Corbyn, anche il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ammesso per la prima volta di aver ordinato raid in Siria. «Operiamo in Siria per impedire a questo paese di diventare un fronte contro Israele», ha rivelato. Lo scopo delle operazioni israeliane sarebbe di impedire i rifornimenti della milizia sciita libanese Hezbollah, schierata al fianco di al-Assad.

Ma in tutta la Turchia il clima è incandescente. Un ordigno artigianale è esploso a Istanbul causando almeno un morto e sei feriti. L’obiettivo era la stazione della metropolitana di Bayrampasa, nel centro città. Il paese è attraversato da una serie di attentati, il più grave dei quali è l’esplosione, rivendicata da Is, avvenuta ad Ankara il 10 ottobre scorso che ha causato 102 vittime.
Un tribunale di Istanbul ha respinto invece l’istanza di scarcerazione presentata ieri dagli avvocati di Can Dundar ed Erdem Gul, direttore e caporedattore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, arrestati giovedì scorso con accuse di «spionaggio» e «propaganda terroristica» per le rivelazioni dei legami tra Servizi segreti (Mit) e jihadisti. Non solo, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Turchia per il blocco totale dell’accesso a Youtube effettuato tra il 2008 e il 2010. Le stesse pratiche sono state perpetrate in occasione delle principali ondate di proteste, incluso il movimento Gezi del 2013.

Infine, il leader del partito filo-kurdo (Hdp), Selahattin Demirtas, scampato ad un attentato la scorsa settimana che aveva preso di mira la sua vettura a Diyarbakir, è tornato sull’agguato costato la vita al capo degli avvocati kurdi, Tahir Elci. Si è trattato di un «delitto politico» su cui probabilmente non verrà mai fatta luce. Hdp ha proposto la creazione di una commissione parlamentare per fare luce sugli eventi. Nella proposta si sottolineano alcune analogie con l’assassinio di Hrant Dink, il direttore del giornale turco-armeno Agos ucciso a Istanbul nel gennaio 2007. Secondo Demirtas, «ad Ankara stanno gioendo per la sua (Elci, ndr) morte».