Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha insistito che «nessuna spiegazione reale» della violazione dei Mig-29, «durata a lungo», è stata avanzata dall’aviazione russa. In realtà fonti di Mosca parlano di una breve incursione in territorio turco, dovuta alle cattive condizioni climatiche. Si tratta di due episodi distinti, uno avvenuto la scorsa domenica e il secondo lunedì quando otto jet turchi hanno avvistato nei loro radar un caccia russo. In entrambi i casi l’avvistamento è avvenuto al confine tra Siria e Turchia. Qui Ankara ha imposto la scorsa estate una safe-zone, con l’avallo di Nato e Stati uniti, per il controllo del confine e dei territori semi-autonomi la cui sicurezza è gestita dai combattenti kurdi del Partito democratico unito (Pyd), che hanno assicurato il loro sostegno sul campo alla coalizione internazionale anti-Isis. In seguito alle violazioni dello spazio aereo turco, Ankara ha richiamato per ben due volte l’ambasciatore russo in Turchia.

D’altra parte, anche il sistema missilistico siriano, che sembrava annullato dalla guerriglia di terra dei combattenti kurdi, ha dato segni di vita. Sono stati intercettati gli F-16 turchi che sorvolavano i cieli di Rojava tanto da evidenziare una propensione a riprendere la difesa della regione del Kurdistan siriano (Rojava) da parte dell’aviazione di al-Assad. La guerra dei nervi sul confine turco-siriano non è cosa nuova. Lo scorso anno, l’aviazione turca ha abbattuto un Mig-23 siriano; nel 2012, missili siriani hanno abbattuto un Phantom turco che sorvolava le coste del Mediterraneo.

Recep Tayyip Erdogan, sempre più solo in vista del voto del primo novembre – anche suo figlio avrebbe lasciato il paese – ha ricordato che ogni attacco contro Ankara è un attacco alla Nato. Con Putin Erdogan non è stato gentile, lo ha ammonito di non poter perdere un «amico come la Turchia». In verità sono mesi che si vocifera di relazioni diplomatiche tese tra i due paesi in seguito al sostegno che Ankara ha assicurato ai jihadisti in Siria. Le connivenze tra Isis e servizi segreti turchi sono venute alla luce sia con rivelazioni stampa in riferimento a passaggi continui di uomini e armi dal territorio turco a quello siriano fino al convoglio dei jihadisti di Isis, composto da autocisterne piene di greggio, colpito dai raid russi al confine tra Turchia e Siria nei giorni scorsi.

Il presidente turco si sta giocando il tutto per tutto in vista del voto anticipato del prossimo primo novembre. Tre dei sei aggressori del noto giornalista del quotidiano indipendente Hurriyet, Ahmed Hakan, sono stati rilasciati. Anche Washington ha espresso preoccupazione per le violazioni della libertà di stampa in Turchia. Erdogan non ha mai condannato l’attacco perpetrato da iscritti al suo partito.

In questa guerra nella guerra, al centro c’è l’autonomia dei comunisti kurdi. La questione vitale per la Turchia è asserire il suo controllo su Rojava per impedire qualsiasi legame tra kurdi siriani e turchi, motivo per cui le autorità di Ankara sono state sempre pronte anche a dare il loro via libera al sostegno alle opposizioni prima e ai jihadisti di Isis in Siria. Invece i kurdi siriani, sebbene perseguano una lotta autonoma, preferiscono di gran lunga la Siria ai bombardamenti di Ankara contro il Pkk.

L’accordo tra Stati uniti, Nato e Turchia sul controllo di Rojava non può giustificare le centinaia di morti kurdi che continuano ad essere causati dai bombardamenti di Ankara (nella foto LaPresse) che vanno avanti da quasi tre mesi nel silenzio del mondo. Dopo quattro giorni è finito il coprifuoco a Silvan, quattro sono i morti e decine i feriti tra la popolazione civile. A Sirnak, Haci Lokman Birlik è stato ucciso dalle forze di polizia e trascinato per le vie della città. Mentre Ahmet Sonmez, 50 anni, è stato assassinato dalla polizia sulla porta di casa a Nusaybin. Insomma, dopo Morsi e le opposizioni siriane, la prossima testa a cadere potrebbe essere quella di Erdogan, e per mano russa.