Sale di tono la crisi diplomatica tra il Vaticano e la Turchia sulla questione armena. Il presidente islamico-conservatore, Recep Tayyip Erdogan ha «condannato» le parole del papa Francesco Bergoglio, pronunciate domenica scorsa durante la messa a San Pietro. In un messaggio rivolto agli armeni, il pontefice ha definito «genocidio» il massacro compiuto dalle truppe ottomane nel 1915, mentre infuriava la Prima guerra mondiale. Allora, vennero massacrate quasi un milione e mezzo di persone: «Il primo genocidio del XX secolo», ha detto Bergoglio, che ha scelto di celebrare la messa con il patriarca armeno Neves Bedros XIX Tarmuni e alla presenza del presidente armeno Serge Sarkissian.

Il papa ha usato una formula già impiegata dal suo predecessore e contenuta in un documento consegnato da Giovanni Paolo II al patriarca armeno nel 2001. Bergoglio non l’aveva però utilizzata durante la sua visita in Turchia, nel novembre del 2014, ed è la prima volta che se ne serve dall’inizio del suo pontificato. L’affermazione, a ridosso delle celebrazioni per il centenario dei massacri, che si svolgeranno nella capitale armena, Erevan, il 24 aprile, ha fatto infuriare Erdogan. Le autorità turche hanno convocato il rappresentante del Vaticano in Turchia, l’arcivescovo Antonio Lucibello e hanno richiamato per consultazione il loro ambasciatore presso la santa Sede. Il giorno dopo la messa a San Pietro, c’erano state reazioni sdegnate da parte del governo turco che ha accusato il papa di parzialità e di «ignorare le atrocità subite dai turchi e dai musulmani che hanno perso la vita». E ieri Erdogan ha inasprito i toni: «Quando dirigenti politici, religiosi, assumono il compito degli storici, ne derivano deliri, non fatti – ha detto, e ha avvertito il papa di non ripetere questo errore».

Nel 2014, Erdogan ha presentato le «condoglianze» ai discendenti delle vittime del genocidio. Il gesto simbolico non ha però cambiato i termini della questione. Pur essendo lontani dal laicismo kemalista che ha fondato lo Stato turco, gli islamisti-conservatori del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), al potere dal 2002, non hanno mai rimesso in discussione la versione iniziale. La posizione ufficiale dice che, tra il 1915-16, in un quadro di carestia e guerra civile, si è prodotto uno scontro che ha provocato vittime da una parte e dall’altra, stimate tra le 300.000 e le 500.000. Tutto il resto, è propaganda antiturca e Ankara ha sempre fatto fuoco e fiamme ogni volta che qualche paese – finora sono una ventina – ha pronunciato al riguardo la parola «genocidio» (come ha già fatto l’Onu).

La stampa turca che sostiene il regime ha amplificato la protesta contro il Vaticano. E ora aspetta la reazione del presidente Usa, Barack Obama, in occasione del 24 aprile. La diplomazia turca sta facendo pressioni affinché non vi sia un secondo pronunciamento contrario ad Ankara. Il governo Erdogan affida alla stampa amica lo stesso tipo di «ammonimento» rivolto al papa: «Non vogliamo credere che Washington voglia perdere il suo più importante alleato nella regione».

Anche per questo, Erdogan sta organizzando festeggiamenti in pompa magna per celebrare la battaglia di Gallipoli del 1915, e proprio per il 24 aprile: un modo per distogliere l’attenzione dal genocidio – secondo gli armeni. Per l’occasione, Erdogan ha invitato 102 paesi, la cui lista sarà resa pubblica solo all’ultimo minuto «per evitare pressioni da parte dell’Armenia». Avrebbero accettato in 30, ma diversi capi di stato, come il russo Vladimir Putin e il francese Francois Hollande hanno fatto sapere che andranno invece a Erevan. Già nel 2011, Parigi ha presentato una legge per penalizzare la negazione del genocidio armeno, poi annullata dal Consiglio costituzionale, e aveva provocato una crisi diplomatica con Ankara.

In vista delle cruciali elezioni del 7 giugno, il gradimento dell’Akp è sceso dal 50% delle politiche del 2011 al 39% e il partito rischia di perdere la maggioranza assoluta in parlamento – che consentirebbe a Erdogan di cambiare la costituzione nel senso di un maggior presidenzialismo. E una candidata cristiana armena, Selina Ozuzun Dogan – avvocata impegnata nella difesa dei diritti civili delle minoranze -, sarà la capolista a Istanbul del principale partito di opposizione turco, il Chp di Kemal Kilicdaroglu.