«Questa operazione è un passo positivo nella guerra contro il regime di Assad, ma non credo sia sufficiente. La Turchia è pronta, se verranno prese decisioni concrete. Riuniamoci in una coalizione di potenze, prime tra tutte gli Usa». Così il presidente della repubblica Tayyip Erdogan a commento dell’attacco americano in Siria. La Turchia porge quindi il braccio verso gli Usa e cerca di alzare il tiro, invocando un deciso intervento armato a guida statunitense.

«Le scellerate azioni del regime di Assad hanno oltrepassato numerose linee rosse. Da tempo il mio pensiero nei confronti della Siria e di Assad è cambiato di molto». Ribaltato quindi lo scenario valido fino poco fa, quando Turchia e Usa erano alle strette per via delle operazioni su Raqqa, condotte grazie all’apporto dei curdi dello Ypg; un’alleanza che il governo turco cerca da tempo di spezzare. Questa solerte offerta di collaborazione è un tentativo di rinsaldare i rapporti tra i due membri Nato e ridare peso all’esercito turco in chiave antirussa. Su Assad, Erdogan ha dimostrato una certa flessibilità di pensiero, specie nel corso dei poco efficaci colloqui di Astana, quando la permanenza del regime era per Ankara divenuta accettabile.

Anche i rapporti con Mosca subiscono uno scossone. «Ho parlato con Putin – ha detto Erdogan – preso dal dubbio se Assad sia effettivamente dietro questo attacco. Ci rattrista che non riesca a capirlo dopo due o tre giorni». A rattristare Ankara sono state anche le azioni congiunte di Damasco e Mosca, capaci di chiudere in un sacco inoffensivo l’operazione Scudo dell’Eufrate, conclusa dal governo con un discorso celebrativo dal sapore referendario.

Lo sostiene il leader del partito repubblicano Chp Kemal Kilicdaroglu in una tirata contro l’avventurismo del governo, risorto grazie alle bombe americane: «Avevano detto che sarebbero entrati a Manbij, che sarebbero andati a Raqqa. Cercano di entrare nella regione sotto l’ala di una potenza, ma nessuna di queste vuole la Turchia».

Più importanti delle dichiarazioni belliciste di Erdogan sono quelle rilasciate dal ministro della giustizia Bozdag, secondo cui «autopsie sono state condotte su tre corpi provenienti da Idlib. I risultati confermano l’uso di armi chimiche». Queste analisi sarebbero state condotte da esperti dell’Oms e dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in un ospedale di Adana. Tuttavia i documenti relativi alle analisi non sono stati divulgati e le autorità non hanno fornito altri dettagli.

Messaggi dai toni così decisi come quelli rilasciati dal governo turco non sono utili soltanto per tentare un riavvicinamento all’America, ma anche di notevole effetto sull’opinione pubblica turca, indignata ed adirata dall’attacco chimico ad Idlib. Un facile e quantomai utile spot per un referendum alle porte.