«Passeggiare tra le strade e le case dell’antica Ercolano è, in questo periodo, un doloroso privilegio: entrare nel tempo sospeso di una città rimasta per la seconda volta nella storia priva dei suoi abitanti. Il sito, infatti, non è mai stato chiuso al pubblico neppure durante la Seconda Guerra Mondiale quando fu utilizzato occasionalmente come rifugio antiaereo», dice Francesco Sirano, direttore del Parco di Ercolano, che abbiamo contattato per conversare sulla situazione del patrimonio durante la pandemia.
L’immagine, quasi surreale, di un sito archeologico deserto suscita d’altra parte nostalgia. «Mancano le voci e la curiosità dei visitatori, i pensionati di Ercolano che ogni mattina salutano dal punto più panoramico dell’ingresso storico al sito e, naturalmente, le centinaia di persone che lavorano nel (e per) il Parco tutti i giorni» continua Sirano, che non si lascia però andare al pessimismo e considera Ercolano «il luogo della resilienza per antonomasia»

L’emergenza sanitaria non ha risparmiato la ricerca archeologica. Quali attività sta pianificando il Parco per l’immediato futuro?
Sono un archeologo da campo e gli scavi sono stati per decenni il mio habitat naturale. Tuttavia ho deciso di consacrare i primi tre anni del mio mandato all’organizzazione e al funzionamento del Parco, divenuto autonomo da Pompei nel 2016, e all’urgente manutenzione programmata delle rovine. Attualmente stiamo finalizzando la gara per assegnare la progettazione di una messa in sicurezza, restauri e scavi nell’area dei cosiddetti «Scavi Nuovi», dove è ubicata la Villa dei Papiri, di cui verrà completato anche lo scavo del padiglione a mare. Inoltre, sono previste indagini nell’antica spiaggia: qui, infatti, si trovano i calchi degli scheletri degli Ercolanesi che nel 79 d.C. non riuscirono a salpare sulle imbarcazioni inviate da Plinio il Vecchio per fuggire l’eruzione del Vesuvio. I lavori partiranno tra la fine del 2020 e gli inizi del 2021.

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Dal 2001 l’Herculaneum Conservation Project, promosso dalla fondazione filantropica Packard Humanities Institute, si occupa della conservazione e della valorizzazione del sito archeologico. Grazie a un partenariato che si è dimostrato virtuoso, il Parco risentirà forse marginalmente dei problemi finanziari dovuti all’isolamento. Ma cosa accadrà nelle centinaia di siti e musei del paese, piccoli o grandi, che si troveranno senza risorse?
Attraverso l’Herculaneum Conservation Project, la Fondazione Packard affianca e potenzia le capacità di gestione del Parco: insieme cerchiamo e sperimentiamo buone pratiche, progettiamo i restauri, programmiamo e disegniamo il futuro del sito sul medio e lungo periodo. Non chiediamo dunque finanziamenti bensì il rafforzamento dei nostri mezzi. Detto questo, siamo di fronte a grandi difficoltà ma anche a straordinarie sfide di cambiamento. Non sembri retorico ricordare che si tratta di una tragedia che ci interroga tutti in quanto abitanti di questo pianeta. La guerra contro il virus si vincerà nei laboratori e negli ospedali ma molte battaglie si superano sul campo dei valori umani prima ancora che su quello economico. Più forte sarà l’assillo del bisogno materiale più forte dovrà farsi sentire la voce degli umanisti: i luoghi che curiamo non servono solo alla memoria ma costituiscono un’incredibile riserva di energie positive. Per tale ragione, ora più che mai, devono essere resi accessibili.

Quali misure di sicurezza sarete in grado di offrire al pubblico e al personale in occasione della riapertura prevista dal 18 maggio?
Applicheremo alla lettera tutte le disposizioni del governo e le linee guida che saranno elaborate dal Mibact. Due gruppi di lavoro multidisciplinari composti da funzionari tecnici del Parco lavorano intensamente per sviluppare un vero e proprio progetto, a stretto contatto con il responsabile dei servizi di prevenzione e sicurezza e con il medico competente. Personale e visitatori sono i protagonisti immutati e insostituibili delle attività del Parco.

Nel 2019 il Parco di Ercolano ha raggiunto circa 600mila visitatori, una cifra rilevante seppur molto inferiore ai quasi 4 milioni della vicina Pompei. La pausa forzata le ha suscitato riflessioni su un modello di fruizione più sostenibile?
Io vengo da siti ritenuti minori dove numeri come quelli toccati ad Ercolano negli ultimi tre anni erano impensabili. Proprio per questo ho voluto trasferire alla mia squadra l’attitudine a considerare ogni singolo visitatore un individuo e non un numero. Non credo infatti che la straordinaria attenzione di cui godono ultimamente musei e parchi archeologici possa esaurirsi in una moda fatua o in una statistica di ingressi. Il biglietto non è un controvalore economico ma il suggello di un’alleanza con i visitatori, tendenzialmente destinata a perpetuarsi. E se l’alleanza non va avanti nel tempo è un peccato ed è spesso anche colpa di chi gestisce i luoghi della cultura.

È ragionevole immaginare un futuro in cui i beni culturali spingeranno a un’esperienza meno «consumistica» e più aderente, invece, ai valori della conoscenza di cui una società civile dovrebbe nutrirsi?
Penso che il ruolo di «presidio della memoria» assegnato a molti spazi possa e debba ampliarsi con soluzioni innovative e fantasiose allo scopo di divenire un presidio sociale attivo. Questa emergenza è come la livella di Totò e rimette in campo in maniera formidabile i «siti minori». Di fronte alle conseguenze del coronavirus ogni luogo della cultura dovrebbe stringere un nuovo patto innanzitutto con il suo territorio di riferimento, senza però perdere l’ambizione ad ampliare la rete di visitatori anche grazie all’utilizzo delle moderne tecnologie. Il turismo di massa è un fenomeno di enorme rilevanza che richiede forme di conciliazione sostenibile tra conservazione e godimento. Il concetto di cura, come presa in carico collettiva, può indicare una via. Oggi e domani la nostra sfida è rendere pienamente parte del presente questi beni dell’umanità e aprirli a forme di partecipazione consapevole.

Durante il confinamento musei e siti archeologici di tutto il mondo hanno amplificato l’offerta virtuale. Anche il Parco si è distinto con la condivisione, sui canali social, di alcuni video dell’Herculaneum 3d scan. Malgrado l’importanza delle tecnologie per la conoscenza del passato, non crede si stia diffondendo l’idea che il virtuale possa sostituire il contatto «tangibile» con l’arte?
Nulla sostituirà mai l’approccio diretto che in un sito archeologico, molto più che in un museo, è una scoperta in senso letterale e figurato. Il Parco ha accelerato una comunicazione digitale strutturata che integra schede didattiche, video, momenti di interazione in un’ottica che guarda sì al passato ma soprattutto al futuro. Stiamo mettendo le basi per un progetto molto ambizioso, il Museo virtuale dell’antica Herculaneum, finanziato poco prima dell’emergenza dal Mibact con fondi Pon (Programmi operativi nazionali, nda). Puntiamo a far in modo che non esistano due visioni separate del sito, virtuale e reale, ma un’unica nuova esperienza che forse prenderà avvio online per poi proseguire fisicamente ad Ercolano. Qui, i fruitori del Parco potranno arricchire le proprie conoscenze attraverso elementi virtuali, portandosi via risposte ma soprattutto ulteriori domande da soddisfare in una successiva visita.