Lungo via Talaat Harb sono sparite le bancarelle dei venditori ambulanti che dopo le rivolte affollavano il centro del Cairo. Le facciate dei palazzi dei primi del Novecento, in stile belga come li chiamano da queste parti, sono state ridipinte insieme ai palazzi di piazza Tahrir. La conferenza economica di Sharm el-Sheikh, sebbene sia un fiasco senza precedenti perché riproduce lo stesso schema che ha causato la fine del regime di Mubarak di azzeramento della spesa pubblica per attrarre finanziamenti del Fondo monetario internazionale e investimenti internazionali, sembra piacere non poco a quegli egiziani che si riconoscono nel nuovo nazionalismo poliziesco militare, incarnato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi.

In questa fase però ancora qualcosa è permesso, mentre dietro le quinte si consuma la più segreta e acerrima battaglia di potere del dopo rivolte tra polizia, militari e islamisti, culminata nella scarcerazione di Mubarak, dei suoi figli e dell’ex ministro dell’Interno, Habib el-Adli, così come del benservito al sanguinario Mohamed Ibrahim, il suo successore e responsabile della strage di Rabaa el-Adaweya, licenziato ed espulso dal paese in fretta e furia, prima che le autorità annunciassero la cancellazione delle parlamentari.

Sisi, la democrazia può attendere
«Non è tempo per la democrazia», ha assicurato al-Sisi, da molti considerato un (pessimo) riformatore dell’islamismo politico a forza di repressione brutale di tutti, dai moderati ai radicali, In nome della stabilità in Egitto ha rimosso i vertici dell’Intelligence militare, dato il via agli attacchi in Libia e Yemen e appoggiato Israele nell’operazione «Margine protettivo». E così le prossime liste elettorali, se mai ci saranno, saranno forse piene degli scagnozzi del partito di Mubarak. «È pronto un esercito di baltageya (criminali, n.d.r.)», ci spiega Mustafa, attivista dei Fratelli musulmani. Secondo lui, in seguito alla repressione (inclusa l’esecuzione della pena capitale contro l’attivista della Fratellanza, Mohamed Ramadan), stanno per essere chiusi i rubinetti del movimento e questo cambierebbe non poco le cose per la tenuta del regime.

Ogni crimine che viene commesso sembra responsabilità esclusiva della Fratellanza, come nel caso dei 22 ultras dello Zamalek (i White Knights), uccisi alle porte dello Stadio del Cairo dalla polizia lo scorso febbraio. Secondo gli inquirenti anche quella strage sarebbe responsabilità della Fratellanza.

In verità si punta il dito contro ambienti salafiti legati agli squadroni armati Harar, nati nel 2013 con il via libera del leader salafita Hazem Abu Ismail con il nome di Hazimun, come gruppo moralizzatore, e che avrebbero partecipato anche al sit-in islamista di Rabaa al-Adaweya.

Gli Hazimun si ritirarono dagli scontri di via Mohamed Mahmud nel novembre 2011 al primo richiamo della Fratellanza, lasciando al loro destino i giovani dei movimenti.

Nostalgia di Nasser
Ma il revival nasserista si percepisce davvero al Cairo, non solo per le campagne yemenite che rinverdiscono il vecchio nazionalismo di Gamal Abdel Nasser ma anche per un clima politico-culturale che si respira per le vie del Cairo. La birreria Lotus ospita i nostalgici dell’antico idillio tra Egitto ed Unione Sovietica che ogni sera si attardano sui piccoli terrazzi di questo antico albergo parlando di politica, criticando sia gli islamisti sia i militari golpisti.

«Mi hanno appena telefonato per comunicarmi che non possiamo andare oltre le undici di sera», ci spiega concitato lo scrittore e attivista comunista del partito Tahaluf al-Shaabi al-Ishtiraki (Alleanza socialista), Sonallah Ibrahim. Da giorni, giovani e intellettuali si incontrano nelle stanze della sua casa editrice a due passi dalla Borsa del Cairo per leggere poesie e per parlare di politica, intrattenendosi fino a tarda notte.

L’ultima occasione è stato il ricordo di Shaimaa al-Sabbagh, la giovane attivista comunista uccisa in piazza Talaat Harb il 24 gennaio scorso, perché dopo la sua uccisione è stata pubblicata ad Alessandria una raccolta di sue poesie; l’iniziativa è stata promossa dal candidato alle presidenziali del 2014, il sindacalista Hamdin Sabbahi. Proprio l’Alleanza socialista e il partito liberale Dostur che fu di Mohammed el-Baradei, ora in esilio in Austria, stanno preparando una lista elettorale unitaria per le parlamentari, rinviate sine die, che però difficilmente potrà raggiungere il 10%, ottenuto dal Blocco (Kutla) alle politiche del 2011.
Shaimaa ormai è un simbolo fortissimo per il movimento, una donna di sinistra che per anni motiverà le lotte e le rivendicazioni dei comunisti egiziani, paragonabile alla forza evocativa di Khaled Said, il giovane ucciso dalla polizia nel 2010 che ha motivato le proteste ad Alessandria e in tutto l’Egitto.

Eppure il processo in corso contro i responsbaili della morte di Shaimaa è pieno di lacune. L’ufficiale delle Forze di sicurezza centrali, Yassin el-Imam, non viene arrestato ed è incriminato solo per aver «percosso a morte» Shaimaa e non per omicidio.

«Era troppo magra»
Nella perizia medica le cause della morte sono addirittura addossate a Shaimaa: «era troppo magra» per essere morta a causa di proiettili di gomma, si legge con orrore.

La sede del suo partito, l’Alleanza socialista, ad Alessandria è stata presa d’assalto dalla polizia. «La polizia è arrivata alle due di notte del 12 marzo alla sede del partito in via Saad Zaghlul. Hanno sfondato la porta e non sapevamo cosa fare. Ci hanno arrestati e interrogati per ore», ci spiegano Hussam, Mustafa ed altri amici e compagni di Shaimaa. «Eravamo con lei al Cairo il 24 gennaio, siamo partiti in treno da Alessandria», ci raccontano questi giovani attivisti. «Gridavamo i canti rivoluzionari, abbiamo attraversato Hoda Sharaawi, siamo arrivati a piazza Talaat Harb, nel mezzo della piazza abbiamo incontrato un altro gruppo di manifestanti – continuano – C’erano sette poliziotti: alcuni in borghese.

«Hanno sparato senza motivo»
Hanno sparato senza motivo mentre il segretario del partito, Ahmed Fahmy, chiedeva alla polizia se due o tre di noi potessero andare in piazza Tahrir per protare una rosa». I due giovani erano al fianco di Shaimaa quando è stata uccisa. «La tenevamo per mano a destra e sinistra, in quel momento ci hanno sparato. Mi hanno ferito», spiega Hussama. A quel punto Mustafa, come si vede nella nota foto della morte di Shaimaa, l’ha presa tra le braccia, perché era il più vicino a lei. Questi giovani hanno partecipato a tanti scioperi con Shaimaa, attivista anche tra i lavoratori e con il sindacato. «Mi ricordo di un lungo sciopero al quale ho partecipato con lei, un mese prima che venisse uccisa» dice Husama, «una volta è rimasta finché i lavoratori non ottennero le loro richieste, tornava in fabbrica tutti i giorni, informava i lavoratori dei loro diritti, mentre i militari mandavano messaggi minatori ai lavoratori e non ci lasciavano protestare con loro», racconta.

«È la nostra lotta quotidiana. Ora siamo deboli ma le cose cambieranno», commenta Mahiennur el-Masry, anche lei attivista comunista in prigione per sei mesi lo scorso anno.
Anche il festival D-Caf interpreta questo finto ritorno al nasserismo. «C’è un’altra via oltre il capitalismo», ci assicurano i registi de «A micro history of world economy» di Pascal Rambert e Rami Sami. «Nel testo si cerca di capire perché c’è stata la crisi economica del 2008, noi lo abbiamo semplificato e adattato alle esigenze egiziane usando sia attori professionisti sia persone comuni che hanno preso parte a workshop preparatori», ha aggiunto Hani. E poi al minuscolo cinema Zawya non mancano proiezioni di documentari davvero interessanti come «Garbage dream» di Mai Iskander, «Scent of Revolution» di Viola Shafik, «Electro Shaabi» di Hind Mehddeb e «On boys girls and the veil» di Yusry Nassrallah.