«È il momento più importante della campagna per la liberazione dei Cinque, siamo qui per ringraziarvi e per chiedervi di intensificare gli sforzi», dice al manifesto Laura Labañino. Calma e determinata, la ragazza ricapitola dal punto di vista di una figlia la vicenda dei cinque agenti cubani – Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González – arrestati negli Stati uniti per aver cercato di prevenire attentati contro il proprio paese. Suo padre è Ramon Labañino, condannato all’ergastolo più 18 anni. Come gli altri quattro, è stato incarcerato nel 1998. Solo René, condannato a 15 anni, ha avuto accesso alle misure alternative alla detenzione nell’ottobre del 2011 con l’obbligo di permanere negli Stati uniti in libertà vigilata per tre anni. Recentemente, per la morte del padre, ha potuto recarsi a Cuba, dove poi ha ottenuto di rimanere ma solo a patto di rinunciare alla cittadinanza statunitense.

[do action=”quote” autore=”Laura Labañino”]«Mio padre l’ho conosciuto in carcere quando avevo otto anni, ne avevo sei quando venne arrestato, uno o due quando se ne andò da casa per compiere la sua missione»[/do]

 

Racconta Laura: «Mio padre l’ho conosciuto in carcere quando avevo otto anni, ne avevo sei quando venne arrestato, uno o due quando se ne andò da casa per compiere la sua missione e non ricordo niente di allora. Ho vent’anni e la sua assenza ha pesato molto per me e mia sorella, benché, grazie a mia madre, ci comportavamo come se fosse sempre fra noi, sentivamo i suoi consigli anche quando, durante i lunghi periodi di isolamento, non avevamo più sue notizie».

Una vita difficile, per le famiglie degli agenti, spesso obbligati a costruirsi una identità pubblica da «dissidenti»: per potersi infiltrare nelle organizzazioni anticastriste attive in Florida, conquistarne la fiducia e avvertire Cuba dei loro attentati. Se non fossero stati arrestati, pochi avrebbero saputo che non avevano tradito le loro idee e il loro paese. Senza il loro impegno, probabilmente però il numero dei morti per gli attentati anticastristi commessi sull’isola – 3478 vittime e 2099 mutilati per bombe sugli aerei, assalti a mano armata e ordigni negli hotel – sarebbe stato più alto. La loro rete ha invece consentito l’arresto di alcuni mercenari come il salvadoregno Cruz Léon, ingaggiato dalle organizzazioni paramilitari della Florida con la complicità del governo Usa. Ha permesso di alzare il velo sull’attività criminale di Hermanos al Rescate, Alfa 66, tutte foraggiate dalla potente Fondazione cubano-americana e dai suoi agganci con Pentagono e Cia.
«Queste organizzazioni – dice Laura – ancora oggi ricattano il parlamento e il governo nordamericano, pesano sul voto della Florida come hanno pesato sulle sentenze ai Cinque minacciando i giurati o influenzandone l’imparzialità. Tanti giornalisti e media importanti sono stati pagati perché creassero un’atmosfera sfavorevole ai nostri compagni e poi facessero scendere il silenzio sulle ingiustizie perpetrate».

All’epoca di Bill Clinton, Fidel Castro ha cercato una sponda tra i progressisti Usa per tessere un filo di dialogo. Tramite lo scrittore Garcia Marquez ha inviato un messaggio di suo pugno, ha fatto filtrare informazioni di intelligence preziose per Clinton. Anziché i mercenari, sono però stati arrestati gli agenti cubani, con l’assurda accusa di aver voluto attentare alla sicurezza militare degli Stati uniti. «A Cuba – spiega Laura Labanino – è stato arrestato Alan Gross, un uomo della Cia venuto a destabilizzare il paese, il nostro governo ha chiesto di poterlo scambiare con i Cinque, ma finora senza esito. A Gross è stato riscontrato un tumore e per questo non si trova in carcere, ma in un ospedale dove riceve tutte le cure. Mio padre, invece, ha gravi problemi al ginocchio, da anni in carcere trascina la gamba, ma non viene curato. Solo ultimamente gli hanno fornito una sedia a rotelle, ma niente altro. Per andarlo a trovare, una volta all’anno, abbiamo subito ogni genere di vessazioni da parte delle guardie. Tante volte mia madre ha cercato di appellarsi alla loro umanità, ma non c’è stato niente da fare. Quando c’era qualche problema in carcere, anche mio padre veniva portato in isolamento, benché non avesse fatto niente, e la visita dopo pochi minuti veniva interrotta».

Al termine del più lungo processo giuridico nella storia degli Stati uniti – sempre sfavorevole ai Cinque -, la speranza è ora nelle mani del presidente Barack Obama, che potrebbe concedere l’indulto. «Per questo – dice Laura – è importante intensificare le iniziative di sostegno, e inviare quante più cartoline possibili alla Casa bianca per chiedere la liberazione di mio padre e dei suoi compagni. Obama non le legge, però il suo ufficio ha il compito di stilare statistiche su questo genere di proteste, e i numeri sono importanti».
Da giovedì scorso a domani, il Comitato internazionale di sostegno, che ogni 5 del mese svolge attività in ogni parte del mondo, ha portato i suoi delegati davanti alla Casa bianca con video, mostre, conferenze. «Così la gente che passa può conoscere la storia di Ramon, Gerardo e gli altri e chiedere la loro liberazione insieme a noi e ai deputati progressisti statunitensi che ci appoggiano e che abbiamo incontrato» dice Laura.

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La campagna si serve dell’efficace immagine di una mano aperta nell’invito a «battere il cinque» rivolto al presidente Usa: «Obama, dacci i Cinque». Giovedì scorso, la conferenza stampa di apertura della campagna ha visto la partecipazione di numerosi artisti, intellettuali e politici di rilievo internazionale. Presenti le delegazioni di 33 paesi (per l’Italia, l’Associazione di amicizia Italia-Cuba e la Rete dei comunisti). Sotto i cartelli con la foto dei Cinque, la scritta Volveran. Torneranno.