Se c’è una figura del neofascismo italiano la cui biografia ha sottratto la definizione di «internazionale nera» ad una certa mitologia un po’ fumosa e a tratti degna di una spy-story, restituendola alla drammatica realtà dei fatti, è senza dubbio quella di Stefano Delle Chiaie. Perché «Er caccola» non è stato soltanto un protagonista di pressoché ogni tentativo di revanche che la destra radicale italiana abbia immaginato e messo in atto fin dall’immediato dopoguerra, ma un personaggio al centro per decenni di analoghi tentativi che hanno avuto come scenario il resto d’Europa come l’America Latina.

DEL RESTO, in fuga dalle indagini della nostra magistratura, Delle Chiaie ha trascorso ben 17 anni da latitante: una lunga stagione della sua storia iniziata all’indomani della strage di piazza Fontana del dicembre del 1969 e del tentativo di colpo di Stato promosso dal «principe nero» Junio Valerio Borghese nel dicembre dell’anno successivo e conclusasi solo nel 1987 con il suo arresto nella capitale venezuelana Caracas e la successiva estradizione nel nostro paese.

Se già in precedenza i suoi contatti guardavano al Portogallo di Salazar, dove era nata l’Aginter Press che tanta parte risultò avere nel progetto della Strategia della tensione, la prima tappa della sua lunga fuga sarebbe stata Madrid, dove farà in tempo a vivere gli ultimi anni della dittatura franchista. Di quel periodo rimane anche un’immagine che lo ritrae in Navarra, nel maggio del 1976, a pochi mesi dalla morte del «Generalissimo» nel corso di un’azione, condotta da alcuni neofascisti italiani, francesi e portoghesi, insieme ai locali «Guerriglieri di Cristo Re», che sarebbe costata la vita a due manifestanti carlisti che auspicavano la democratizzazione del paese.

Nel frattempo, nel corso di un viaggio con Borghese in Cile nel corso del 1974, Delle Chiaie aveva conosciuto Augusto Pinochet, alla guida della giunta militare golpista del Cile dal settembre del 1973, che incontrerà di nuovo nella capitale spagnola nel 1975 durante i funerali di Franco.

Da questi contatti prende corpo la decisione di trasferirsi a Santiago, insieme ad altri esponenti e latitanti di Avanguardia Nazionale. Sarà solo il debutto di una nuova «carriera», condotta tra Cile, Costa Rica, Argentina e Bolivia che vedrà i neofascisti italiani operare a stretto contatto e per conto di alcune delle più spietate dittature della regione. Il tutto, malgrado le smentite di Delle Chiaie, probabilmente all’ombra di quel vasto piano repressivo, che comprendeva in particolare l’eliminazione fisica degli oppositori anche se riparati all’estero, denominato «Operazione Condor» e orchestrato, perlomeno a partire dalla metà degli anni Settanta, dal capo della Dina, la polizia segreta cilena, Manuel Contreras con i suoi colleghi sudamericani e sotto l’egida di Washington, come emerso negli ultimi anni anche grazie alla desecretazione di molti documenti dell’intelligence statunitense.

DOPO IL CILE, e almeno per un breve periodo l’Argentina, Delle Chiaie si sarebbe trasferito già alla fine del decennio in Bolivia dove incontrerà il criminale di guerra Klaus Barbie, noto come «il boia di Lione». Capo della Gestapo nella città francese, Barbie si era macchiato di una lunga serie di orrori, come la deportazione ad Auschwitz di una quarantina di bambini ebrei, alcuni di soli tre o quattro anni, che avevano trovato rifugio nell’edificio di un campo estivo nella località di Izieu. Nella capitale boliviana, Barbie, fuggito dall’Europa grazie alla «ratlines», aveva costituto un gruppo paramilitare composto da estremisti di destra europei che avrebbe aiutato il generale Luis García Meza Tejada a prendere il potere con un colpo di stato nel 1980 e a dare vita ad una «narco-dittatura», grazie ai proventi del traffico di cocaina. Il gruppo guidato da Barbie fu soprannominato «i fidanzati della morte». Delle Chiaie, pur smentendo nella sua autobiografia di averne fatto parte, definisce il «boia di Lione» una «persona leale e impegnata anche dal punto di vista umano».