Più produci e meno verrai pagato. È uno dei principi ispiratori dell’accordo raggiunto dagli editori Fieg e il sindacato dei giornalisti Fnsi sull’equo compenso per i giornalisti freelance. Le parti si rivedranno lunedì 23 giugno per continuare la trattativa sul contratto nazionale, ma la loro decisione ha scatenato il dissenso del presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, la rivolta del coordinamento precari di Stampa Romana e delle reti dei freelance che pensano di organizzare una protesta a Roma.

L’accordo ha stabilito le tariffe minime per il lavoro giornalistico, in caso di collaborazioni coordinate e continuative. Prevede 250 euro ad articolo per i mensili, 67 per i periodici, 20,80 euro per i quotidiani, 6,25 euro per un lancio di agenzia o per una segnalazione sul web. I compensi, lordi, aumentano del 30% se l’articolo o il servizio sono corredati da foto e del 50% con un video. Per le televisioni locali il compenso, per un minimo di 6 pezzi al mese sarà di 40 euro l’uno, per i piccoli periodici locali di 14 euro ad articolo. Per le testate che ricevono il contributo per l’editoria, le norme sull’equo compenso saranno vincolanti, pena la sua cancellazione.

Se un precario di un quotidiano scrive ad esempio 432 articoli in un anno, firmando più volte al giorno, Natale e Ferragosto compresi – ha scritto su facebook il presidente dell’Odg Iacopino – secondo questo tariffario arriverebbe a guadagnare 6300 euro all’anno lordi. Perché a questa cifra bisogna sottrarre, nell’ordine: la ritenuta fiscale (21%), il contributo alla previdenza per giornalisti Inpgi (10%), qualche centinaia di euro per l’assistenza Casagit e, se pensa alla pensione, altri spiccioli al fondo complementare. Sempre che poi la testata – o le testate – per cui lavora paghino regolarmente e non, come spesso accade, in maniera discontinua. Per Iacopino in tasca al freelance resterebbero 4.437 euro, 73 euro al mese. Un compenso minimo, ritenuto equo da editori e sindacato, a cui bisogna sottrarre i costi vivi per telefonate, ore di studio e preparazione. «Come dire? Non bastano neanche per il pane – commenta amaramente il presidente dell’Ordine – Ma non state lì a rompere, fatevi dare delle brioches da una Maria Antonietta di turno».

Per il coordinamento romano dei freelance quello sull’equo compenso è un «accordo truffa» che legittima la precarietà nel contratto di categoria, dichiara la fine del giornalismo professionale, apre le porte al «dilettantismo» e segnala il «tramonto definitivo della libera informazione». L’accordo «è contrario alla legge 233/2012 e rende ricattabili i “cinesi” dell’informazione senza diritti e sottopagati».

Il 60% dei giornalisti oggi attivi in Italia, 10 mila quelli che lavorano con una collaborazione coordinata e continuativa, senza contare quelli che vengono pagati «a pezzo», con la ritenuta d’acconto o il diritto d’autore, potrebbero vedere peggiorare la loro condizione già deficitaria. Lo sfruttamento della produttività dei precari verrà intensificato, e sarà pagato sempre di meno.

«Con compensi simili – commenta il Coordinamento – si potrà lavorare da giornalisti solo per hobby perché in grado di contare su altri redditi». Una condizione che non sarà esclusiva per gli «autonomi» ma che riguarderà ben presto la categoria protetta degli assunti che diventeranno gli “autonomi” di domani. «Perché gli editori potrebbero ridurre ancora gli organici delle redazioni – aggiunge il Coordinamento – esternalizzando il più possibile il lavoro ad autonomi sottopagati». Il comitato di redazione del Tg5 è contrario all’accordo e ha lanciato una petizione su change.org firmata da 800 persone dove chiede un congresso straordinario della Fnsi.

«Non è affatto la tutela del “lavoro autonomo” – scrive il Cdr – ma è la legalizzazione dello schiavismo e la tutela di attività non giornalistiche. Non si sopravvive facendo questo mestiere con 250 euro lordi al mese». Il Cdr segnala inoltre che editori e sindacato si apprestano a firmare la cancellazione dell’indennità di mancato preavviso trasformata dal 1985 in previdenza integrativa.