Aloy dai capelli rossi è un’orfana, come quell’Anna inventata da Lucy Maud Montgomery e divenuta successivamente la protagonista di un “anime” di Isao Takahata, sebbene un abisso temporale di più di mille anni separi le loro esistenze nella Terra dell’immaginario. Sentiamo pronunciare per la prima volta il nome Aloy quand’ella è ancora un’infante, trasportata sulle spalle dal nerboruto Rost che l’ha adottata. Percorrendo sentieri montani e inerpicandosi fino ad una solinga vetta l’uomo la “battezza” urlando il suo nome al vuoto e questo viene ribadito dall’eco, un segmento narrativo che risulta dolce quanto epico. Si tratta di quell’eroica tenerezza di matrice fordiana, che suggestiona come gli attimi più struggenti di “The Three Godfathers” durante la fase quasi definitiva del calvario nel deserto di John Wayne con il neonato. La piccola Aloy non sa ancora di essere una reietta per qualche inesplicabile motivo, costretta a vivere isolata dalla società insieme a Rost che la alleva e poi la addestrerà per sopravvivere, ma lo scoprirà con amarezza crescendo solitaria, un’emarginata vittima di pregiudizi, odio misticheggiante e violento disprezzo.
Comincia così Horizon Zero Dawn, esclusiva per Playstation 4 sviluppata dalla software house olandese Guerrilla Games, un’avventura fantascientifica in terza persona che ci rivelerà nel corso del suo lungo svolgimento le ragioni di una catastrofe che distrusse la società come la conosciamo. Tuttavia questo viaggio memorabile alla ricerca della verità si rivelerà grave di insidie, tragedie e dolore tanto che potremmo intitolarlo la “Chanson de Aloy” non solo per l’epica del racconto ma per la centralità della protagonista in quest’epopea post-apocalittica. Il carisma di Aloy è umano più che eroico o erotico; ella possiede una “pietas” che la differenzia da molte eroine videoludiche virilizzate o iper-sensualizzate. Aloy possiede inoltre una sua bellezza barbarica, ma la sua è una beltà umile, celata dal rigore a cui è costretta, esaltata solo dal rosso-arancione dei suoi capelli che le ardono sul capo come un sole crudele che tramonta su un pianeta deserto, appiattendo la fisionomia di una solitaria valle amena.
Aloy, con la sconsuetudine della solitudine è diventata piacevolmente logorroica con se stessa, e ci racconta lo spazio che esploriamo rendendoci partecipi su più livelli alla sua avventura, ambientata in una Terra dove la natura è tornata a regnare seppellendo le antiche vestigia della civiltà estinta sotto la sua verde coltre, le macchine si sono evolute assumendo la forma di bestie meccaniche e i rari esseri umani vivono in ridotte società tribali.
E’ un mondo dalla magnificenza ossimorica, quello di Horizon Zero Dawn, illustrato con un motore grafico dalla potenza tale da dipingere ogni panorama di un foto-realismo sognante, così ricco di particolari da risultare barocco nella sua dimensione lussereggiante, uno spazio che rende possibile la convivenza impensabile di una fauna robotica in una natura ritornata ancestrale. E’ questo il verice artstico raggiunto dal videogame di Guerrilla Games, trasformare in credibile un edificio estetico che avrebbe potuto crollare se solo un dettaglio fosse stato fuori posto. Invece l’insieme formato da Aloy, la natura, i ruderi e le macchine funziona sempre, dando vita ad una bellezza visonaria che atterisce con la tecnica con cui è realizzata.
Tuttavia non è solo estetica Horizon Zero Dawn, malgrado il suo fulgore visivo risulti talvolta di una bellezza accecante, perchè le dinamiche ludiche sono convincenti e ispirate nella loro miscela tra azione e strategia. Così nel corpo e con la “mente” di Aloy esploriamo liberamente come nelle avventure più aperte, andiamo a caccia di bestie robotiche anche immani come contro gli pseudo-dinosauri di Monster Hunter, gestiamo le risorse con la tattica richiesta da un ostico survival-game, dialoghiamo con gli altri esseri umani utilizzando la dialettica di un gioco di ruolo.
Tesoro femmineo, naturalista e metallico di un inizio del 2017 che rischia di fare impazzire benignamente i videogiocatori a causa della quantità di opere videoludiche d’eccellenza distribuite tutte nel giro di pochi giorni, Horizon Zero Dawn è il ritorno di una fantascienza umanistica, la volontà di affermare che l’essere umano è il centro che rende plausibile anche la più iperbolica invenzione fantastica e la giustifica, trasformandola in una storia esemplare e universale.