Un nostro titolo sulla prima pagina di ieri, scorretto per una estrema sintesi, ha creato un equivoco sulla presenza di Guglielmo Epifani alla manifestazione Cgil di domani: ce ne scusiamo con l’interessato e i lettori, perché invece l’ex segretario della Cgil e del Pd, oggi deputato dem, in piazza ci sarà. «E si andrà a mettere sotto il palco», fanno sapere dal suo entourage.

In realtà Epifani – questo voleva dire la prima di ieri – ha deciso di non aderire all’appello lanciato da Sergio Cofferati e firmato da tanti ex segretari Cgil per un sostegno convinto alla manifestazione: perché, ipotizziamo, può essergli sembrato troppo forte contro il governo (la Cgil in questa fase è chiaramente all’opposizione).

Proprio in questo nodo, fino a che punto sostenere le rivendicazioni della Cgil e nel contempo avallare le politiche di un Pd a fortissima trazione renziana, sono avvinti tanti della sinistra Pd. Con tutta la coda delle polemiche (in piazza sì o no, e come) viste in questi giorni.

Epifani ha firmato un altro testo, elaborato da Area riformista, sottoscritto da 16 parlamentari Pd, tra cui Stefano Fassina, Cesare Damiano, Alfredo D’Attorre. Questa nota, pur riconoscendo «gli sforzi fatti dal governo per defiscalizzare lavoratori e imprese», chiede però di «correggere la manovra su altri punti, per evitare che i mancati trasferimenti alle Regioni e agli enti locali si riflettano sulla qualità dei servizi, a partire dalla sanità e dal sociale».

Inoltre, Area riformista conferma la «valutazione negativa sulle modifiche all’articolo 18» e chiede di riconoscere «il ruolo dei corpi di rappresentanza».

I nodi verranno al pettine quando Epifani e gli altri deputati della sinistra Pd (già «bersaniana») dovranno votare il Jobs Act, peggio ancora se con la fiducia. Tra l’altro l’appello con cui i delegati Fiom chiedono all’ex segretario Cgil di non votare l’abolizione dell’articolo 18 alla Camera, ha già raggiunto 400 firme.