Non è certo il “governo del cambiamento” che aveva invocato fino all’ultimo, fino alla disfatta sull’elezione del presidente della repubblica e alle dimissioni da segretario, ma «ha freschezza e solidità» e «Letta merita il sostegno di tutto il Pd». Così Pier Luigi Bersani fa gli auguri al vicesegretario che fa il suo ingresso a palazzo Chigi, lì dove l’ex leader contava di arrivare, sottolineando una «freschezza», appunto, che significa anche una evidente sottorapprentazione del Pd e, in particolare, della componente ex diessina (e bersaniana). Ministri non nei dicasteri più pesanti, in un equilibrio instabile tra le componenti del partito che lascia parecchia insoddisfazione, anche se le defezioni al momento della fiducia saranno contenute.
Lanciato verso il ministero degli esteri, resta a piedi Massimo D’Alema. Una decisione presa non perché osteggiata da Giorgio Napolitano o da Silvio Berlusconi, anzi: per non creare problemi nel Pd, come avrebbe detto nel corso della trattativa finale Enrico Letta. Entrano il bersaniano Flavio Zanonato nel ministero che fu di Bersani, lo sviluppo economico, la lettiana Maria Chiara Carrozza, il «giovane turco» Andrea Orlando, Dario Franceschini, Areadem, presidente della camera mancato, il renziano Graziano Del Rio, il dalemiano (e amatiano) Massimo Bray, le neo-deputate Iosefa Idem (la campionessa eletta nel “listino bloccato” del segretario) e Cecile Kyenge (eletta per la prima volta nel 2004 in una circoscrizione di Modena per il Ds e nel 2009 consigliera provinciale per il Pd) e, di area, Carlo Trigilia, della Fondazione Italianieuropei.
Sostegno di tutto il Pd, chiede Bersani, ma subito si apre lo scontro nel partito, in vista dell’assemblea nazionale fissata al 4 maggio. Ora che a palazzo Chigi è andato un ex popolare (e anche alla guida di un governo dove l’area cattolica è ben visibile e pasante) la sinistra del Pd e lo stesso leader dimissionario con i suoi, puntano a eleggere segretario, già in quell’occasione, l’ex numero uno della Cgil Guglielmo Epifani, per poi portarlo al congresso previsto per ottobre. Anche se nell’area dei “giovani turchi” – spostati su Matteo Renzi – si sostiene che l’Assemblea potrà eleggere solo un «reggente», che poi non potrà correre per la segreteria. In realtà nel caso di Dario Franceschini non fu così. Tra i democratici però c’è chi fa notare la scarsa dimestichezza di Epifani con il partito. In vista del congresso, resta anche da capire le intenzioni di Renzi.
Ieri sera, ospite di Fabio Fazio su Raitre, il sindaco di Firenze, alla domanda su un suo interesse a correre per la guida del Pd, ha risposto secco: «No». Per poi aggiungere: «Se il cambiamento si fa attraverso il Pd, do una mano. Se l’idea è di andare a capo di una strutture per gestire spifferi e correnti, penso di essere la persona meno indicata in assoluto». Non per questo, il «rottamatore» intende adesso starsene zitto e buono, anzi: «Dopo che abbiamo toccato il fondo, si può ripartire», dice. E sul governo appena nato non scommette: «C’è una fragilità. Sono forze politiche che si sono presentate divise alle elezioni e che sono costrette a stare insieme. Se Berlusconi lo vuol far fallire lo fa fallire. Questa non solo era l’unica soluzione, ma speriamo dia una mano all’Italia». Non proprio incoraggiante.