Pace in Siria, stato di diritto in Italia, le parole d’ordine di Guglielmo Epifani ieri alla chiusura della festa nazionale di Genova, che però ha visto trionfare Renzi (secondo l’applausometro e i dati del sito web del Pd). Segretario, il Pd è pronto a votare sì alla decadenza e in caso andare fino in fondo e far cadere il governo Letta? «La domanda è mal posta». Accetterete i tentativi di dilazione del voto del Pdl? «Il tempo necessario, che non possono essere tempi infiniti». Apprezzerebbe una grazia al Cavaliere? «Questione istituzionale, riguarda il capo dello stato, abbiamo fiducia in lui» (dal pubblico si alza un coro di «no»). Quando si farà il congresso? «Il nostro statuto sancisce che lo decida il presidente dell’assemblea nazionale. Sarebbe meglio che sia l’assemblea a farlo il 20 settembre». Epifani pattina come può sulle domande di Lucia Annunziata. La direttrice dell’Huffington Post italiano però, a vantaggio dei collegati in streaming, si leva il gusto di segnalare dal palco la presenza, nelle prime file, di Gianni Cuperlo. «Non c’è Matteo Renzi», insiste.

Dettaglio non da poco. Alla vigilia del varo del congresso dem, l’area bersaniana è approdata al candidato Cuperlo. Epifani, che pure vuole attestarsi nel ruolo del ’garante di tutti’, finirà per schierarsi con l’ultimo segretario della Fgci. Insieme a buona parte dell’area cigiellina presente nel Pd (ricordando gli scontri epici fra il sindaco e la segretaria Camusso).

Così faranno, con ogni probabilità, Fabrizio Barca, Sergio Cofferati, forse persino l’ex cislino Franco Marini, ovvero i pochi big impossibilitati, per storia e convinzione, a saltare sul carro di Renzi. Enrico Letta è stato tirato in ballo, e un po’ scoperto, da Massimo D’Alema: «Appoggerà Renzi, non può perdere il congresso». «Il presidente del consiglio rimarrà concentrato sui problemi degli italiani e sulle emergenze che l’Italia deve affrontare», risponde senza cordialità da Potenza il viceministro Stefano Fassina, anche lui oggi con Cuperlo. Rosy Bindi è a caccia di un candidato anche simbolico che la levi dall’impiccio di intrupparsi con un sincero e dichiarato socialista. Starebbe tentando di convincere Filippo Andreatta, figlio d’arte e prodiano della prima ora. Anche Beppe Fioroni fatica ancora a endorsare il sindaco, che troppo spesso lo ha pubblicamente maltrattato.

Quanto agli altri candidati, Pippo Civati prosegue la sua corsa: sarebbe gradita a Renzi, riferiscono dall’entourage del sindaco, perché porta via voti di sinistra al suo principale competitore. Stessa considerazione fanno per un altro candidato della stessa area, Gianni Pittella.

Stamattina alle 11, a Genova, si riunirà invece la Costituente delle idee, altro pezzo della frantumata sinistra Pd, capitanata da Cesare Damiano, il Pietro Folena e il cristiano sociale Mimmo Lucà. Con ogni probabilità si stringerà intorno a Cuperlo, che non a caso sarà presente – invitato – all’appuntamento. Ora gli sherpa bersaniani, scelto il candidato anti-Renzi, fanno i conti e fissano al 25-30 per cento l’asticella della sconfitta onorevole. Obiettivo possibile, anche perché l’eccesso di rottamati approdati in area renziana ha un po’ incrinato l’incantesimo intorno al rottamatore. Venerdì sera Goffredo Bettini, suo sponsor romano, davanti ai giovani del Tiltcamp di Fondi, ha dato un forte colpo di freno agli entusiasmi verso il sindaco di Firenze e messo in guardia contro i trasformismi.

Ma prima dell’assemblea del 20 settembre che aprirà ufficialmente la corsa congressuale il Pd deve passare la nottata della decadenza del Cavaliere. Alla crisi di governo, minacciata a giorni alterni dai falchi pidiellini e dallo stesso Berlusconi, nella ditta Pd non crede nessuno. I senatori dem voteranno compatti per la decadenza, quando sarà e cioè in tempi ragionevoli e non troppo lunghi, giura Epifani. Ma gli agguati parlamentari del voto segreto potrebbero essere fatali per l’immagine democratica. Per questo a Palazzo Madama c’è chi già pensa a rendere riconoscibili’ i voti dem. Come fece Sel, provvidenzialmente, sul voto Prodi alla presidenza della Repubblica, cui mancarono 101 voti del Pd.