Arcaico e moderno insieme, il suo teatro evoca un mondo partenopeo lontano e nello stesso tempo attualissimo, un mondo fatto di storie diverse coraggiosamente raccontate attraverso una lingua “d’invenzione”. Enzo Moscato, 70 anni compiuti ad aprile, è soprattutto uno scrittore, ma anche attore, regista, filosofo e cantante. Al suo esordio, negli anni Ottanta, contemporaneamente al debutto di Annibale Ruccello, si cominciò a parlare di una nuova drammaturgia napoletana, una drammaturgia posteduardiana insomma. E infatti, il suo teatro – pur rispettando i maestri napoletani – ricorda Artaud, Genet, i poeti maledetti di fine secolo, Pasolini… Centinaia i testi scritti in 40 anni di carriera, da Embargos (premio UBU 1994) a Rasoi (premio della Critica italiana; Biglietto d’oro Agis), da cui anche il film di Mario Martone; da Luparella (1997) che ha ispirato il film di Giuseppe Bertolucci con Isa Danieli a Tà-KàI-Tà dedicato alla memoria di Eduardo (2012). Tra i suoi spettacoli più recenti c’è Raccogliere & bruciare (Ingresso a Spentaluce), dove le anime di Spoon river sono quelle di una Napoli distrutta dall’eruzione del Vesuvio, che raccontano e cantano in un gioco poetico e colto.

Partiamo proprio da Raccogliere & bruciare (Ingresso a spentaluce), che ha debuttato lo scorso anno al Napoli Teatro Festival Italia, poi è andato in scena di recente al Teatro Nuovo di Napoli e da settembre chissà, speriamo possa andare in tournée: erano anni che ci lavorava, giusto?

Eh sì, erano anni, più o meno dal 1994-95, quando stavo scrivendo Co’stell’azioni, ma non capitava mai l’occasione di portalo in scena. Poi è arrivata la richiesta del Napoli Teatro Festival e così alla fine è nato lo spettacolo. Ma io adoro scrivere, l’ho sempre fatto, fin da ragazzino. Io e Annibale Ruccello, quando iniziammo a fare teatro, cominciammo subito portando in scena testi nostri. Diciamo che vivo il momento della scrittura come un qualcosa di separato rispetto alla messa in scena. Una volta scritto il testo, se c’è la possibilità di rappresentarlo tanto meglio. Ma non sempre accade. In 40 anni di carriera avrò scritto circa 100 opere teatrali di cui 50 rappresentate in teatro. Il mio amore per Spoon River di Edgar Lee Master risale a molti anni fa… ho “tradinventato” 203 frammenti, di cui andati in scena una trentina. Una riscrittura che andrebbe pubblicata, mentre la messa in scena richiede un lavoro sui corpi e sulle voci, insomma una maggiore leggerezza.

Cos’è la “tradinvenzione”?

Non è mai facile tradurre un testo in un’altra lingua… per questo parlo di “tradinvenzione”, perché quando si tratta di portare in scena testi non miei li traduco alla mia maniera, adeguandoli alla mia natura di poeta napoletano. Sono due universi paralleli che si incontrano. Nella mia attività seguo due filoni: da una parte scrivo testi originali, dall’altra mi dedico alla “tradinvenzione”, iniziata anni fa quando Mario Martone mi chiese di adattare dei classici. Ne ho fatte tante di “tradinvenzioni”…

Che rapporto ha con la tradizione napoletana? Si sente più un innovatore o un tradizionalista?

Io sono nato a Napoli e ho scelto di rimanerci, anche se ho un’anima cosmopolita. Napoli è il mio palcoscenico… più innovatore o più tradizionalista? Forse entrambi. Ci sono due nature diverse che convivono in me, da sempre. Ho avuto la possibilità di conoscere come era Napoli, vengo da una famiglia popolare, ma nello stesso tempo ho insegnato filosofia, quindi popolare e culturale convivono in me.

Ma rispetto a Viviani, Eduardo, Patron Griffi, certamente lei è un innovatore…

Rispetta o loro posso fare un ragionamento di modernità. C’è una specificità napoletana che viene fuori quando traduco dalla mia lingua in altre lingue, per esempio. In questi casi di sicuro spiazzo tutti e mi allontano dal classico varietà. Quindi è come se stessi con un piede dentro e uno fuori. Rispetto i maestri e le origini, ma poi mi piace spaziare.

Prima citava Annibale Ruccello, morto giovanissimo in un tragico incidente. Che ricorda ha di lui?

Nell’80 sulla scena siamo nati insieme. Quelli sono stati anni stupendi… lui scriveva Le 5 rose di Jennifer ed io Scannasurice. Abbiamo lavorato insieme, vinto insieme i primi premi importanti. Si è parlato di noi come di una nuova drammaturgia fatta da ragazzi dell’epoca. Poi nel 1986 ci fu il drammatico incidente… ed io sono rimasto solo. Annibale era semplicemente una persona geniale.

A lui lei ha dedicato anche degli spettacoli, per esempio Compleanno, che di recente è andato in scena a Bologna e continua a girare l’Italia…

Sì, Compleanno (andato in scena per la prima volta nel 1986, due mesi dopo la morte di Ruccello, ndr) è tutto dedicato a lui e le spiego anche perché. All’epoca Annibale mi chiese se volevo interpretare il personaggio di Anna in Le 5 rose di Jennifer, ma io insegnavo all’università e non potevo andare in tournée così gli dissi di no. Poi ovviamente ho dovuto fare una scelta, tra l’università e il teatro. Alla fine ho scelto il teatro. Ora, finalmente, posso rendere il giusto omaggio ad Annibale.

Sempre a Bologna a maggio è andato in scena anche Grand’estate, un testo molto diverso da Compleanno.

Sì, si tratta di due lavori molto differenti. Il problema, per gli spettacoli che richiedono tanti personaggi in scena, come Grand’estate, è che non girano… Ci vorrebbe un po’ più di coraggio, soprattutto da parte degli Stabili. Abbiamo bisogno di atti sinceri.

E quale può essere una strategia vincente per far fronte al problema?

Fino a 15 anni fa c’era un Ministero che sene occupava, ora dove vai… da quando hanno smantellato l’Eti è un disastro. Dicono che non ci sono soldi, poi però per alcuni spettacoli li trovano… Io ho una mia compagnia dal 1986, sopravviviamo… la nostra è una forma di resistenza all’ovvio, alla televisione, è una forma di partigianeria. Quando incontro i miei attori dico loro: prima di fare teatro fate una guerra civile. Come si combatte contro la stupidità? Io ha avuto defezioni da parte di attori che hanno scelto la tv, ma si possono anche coniugare le due cose, come fa Cristina Donadio che lavora con me da 40 anni ma è diventa nota per Gomorra. Il teatro è una forma di libertà ed è bellissimo vedere la gente che dopo aver assistito allo spettacolo si incuriosisce e va a comprare quel libro… Io da bambino i libri li trovavo sulle bancarelle, il libro mi ha salvato la e vita e me la salva ancora, perché leggo molto, sono curioso di conoscere nonostante la mia età.

Quest’anno ha compiuto 70 anni, ha ancora dei progetti che le piacerebbe realizzare?

Sto scrivendo nuove cose, testi diversi. Il teatro è emozione, il teatro è un’ancora di salvezza.