Enzo Carli e la palma di Bonanno
Divano Rileggendo «Cento e una cavatine bibliche» che lo storico e critico d’arte pubblicò presso le edizioni Cadmo nell’agosto del 1998
Divano Rileggendo «Cento e una cavatine bibliche» che lo storico e critico d’arte pubblicò presso le edizioni Cadmo nell’agosto del 1998
Torno a considerare le prove poetiche alle quali Enzo Carli attendeva nei suoi anni estremi. Rileggo Cento e una cavatine bibliche che lo storico e critico d’arte pubblicò presso le edizioni Cadmo nell’agosto del 1998. «Sono, avvertiva rivolgendosi al lettore, i trastulli di un vecchio ormai sugli ottantotto anni e forse il segno del mantenimento di una certa vivacità intellettuale che si esercita a margine di altri scritti cosiddetti ‘seri’». Trastullo vale diversivo e anche gioco. Dunque vale divertimento. E il divertimento è un volgersi verso alcunché che ci distolga dal luogo consueto e ci sottragga all’usuale andare del tempo quotidiano. Impiegare il tempo in un ‘altrove’ e per ‘altro’. Trastullo come passatempo.
Ma si attaglia al caso di Carli, e come, questa accezione di ‘divertimento’? Carli compone i suoi endecasillabi in una successione di quattro. Alla quartina aggiunge, salvo poche eccezioni, una coda di due versi. Tale combinazione strofica designa cavatina. Raffinato cultore di musica, di queste sue composizioni dice che «non sono epigrammi, non sono serventesi (ancorché molte di esse ne abbiano la struttura) ed ero stato tentato di chiamarle mottetti, ma vi rinunciai perché con questo titolo erano state raccolte nel 1939 le brevi e intensissime liriche de Le occasioni di Eugenio Montale. La (supposta) scorrevolezza e cantabilità dei loro endecasillabi e delle loro rime mi indussero a chiamarle umilmente cavatine, pensando a quelle di certe opere in musica».
E si dica, prima di ogni altra precisazione, del tratto conversevole, cordiale, affabile che distingue queste ‘cavatine’, le bibliche divagazioni poetiche di Carli. Dobbiamo tener conto che nell’operistica italiana la ‘piccola aria’ è posta tra due recitativi. Bene allora intendiamo come Carli si impegni a esprimere un suo riconoscibile registro, quasi la variazione di un commento inserito tra quanto si vien recitando da un versetto a l’altro della Bibbia. Aggiungo che, a corredo del testo, spesso Carli fornisce al lettore note di chiarimento ricche di dottrina. Del resto la cavatina ebbe origine come elevazione melodica del recitativo e similmente, potremmo dire, Carli articola il suo estro libero sullo specchio del costrutto biblico. E poi, se nell’opera la cavatina ebbe, tra l’altro, la funzione di presentare un personaggio e il suo carattere allora le composizioni di Carli si attestano, nel corso della lettura dei fatti della Bibbia, come la voce che recita lo svolgersi di una breve meditazione. Essa coglie l’occasione di un arguto ragguaglio o di un rapido, frizzante raffronto, ma anche l’evenienza che consente di pronunciar parole con un accento confidenziale. E in una maniera piana e colloquiale si dipanano questi versi ‘cantabili’. Carli sa bene che quei capitali fissati nel ‘libro’ versetto per versetto, secondo quanto insegnava Johann Georg Hamann, significano integralmente e per sempre la condizione umana («la storia sacra, una allegoria atemporale della storia interiore di ogni singola anima umana, una metafora di ciò che accade in ogni luogo e in ogni momento»).
Scelgo di trascrivere dalle Cavatine quella che si intitola La palma. Consente un richiamo alla vocazione precoce che legò la vita di Carli allo studio delle opere d’arte. Infatti, in Inventario pisano Carli, riandando agli anni della sua fanciullezza, rammenta che «il primo, indistinto e misterioso, messaggio dell’arte lo ricevetti dai consunti bronzi della ‘porta di san Ranieri’».
Così, ne La palma pare a me si incontrino il vecchio poeta e il giovane studioso delle opere d’arte. «Nei deserti d’Egitto erano i palmeti/Lembi di Paradiso ricercati/Che all’ombra loro stavano i Profeti/come Bonanno li ha rappresentati.//Una palma piegò e fece un inchino/Per dare i datteri a Maria e al Bambino». In nota si legge: «Si allude ai dodici Profeti sotto le palme nelle imposte della porta bronzea di Bonanno per il duomo di Pisa. L’incantevole miracolo della palma che durante il Riposo in Egitto alla preghiera di Gesù Bambino si piegò per dare i suoi frutti a lui e a Maria è raccontato nello Pseudovangelo di Matteo 20, 1-6».
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