Già al suo esordio, undici estati fa su Hbo, Entourage aveva una qualità retrò più adatta agli anni novanta che al terzo millennio. Dopo tutto, questo incrocio tra un Bret Easton Ellis light e The Beverly Hillbillies era ispirata agli inizi hollywoodiani di Mark Whalberg – meno il coté teppista dell’ex rapper Marky Mark (che entro i ventun anni aveva accumulato una discreta fedina penale), la campagna per le mutande di Calvin Klein e il suo dono per la musica.

 
Le avventure dell’attore emergente Vincent Chase (Adrian Grenier, una versione più vellutata, benevola, cerbiattesca, della star/musicista di Boston), sbarcato a Hollywood insieme alla sua posse di buzzurrissimi amici d’infanzia da Queens, sono andate in onda per otto stagioni, fatte di variazioni minime sul tema. Johnny «Drama» Chase è il fratello più brutto e più stupido di Vince. Turtle un disastro con le donne, Eric quello timido e pacato che poi però rivela il Dna da manager e, vero protagonista della serie, l’agente iperbolico Ari Gold (Jeremy Piven) è ispirato ad Ari Emanuel, l’agente di Whalberg, e il fratello dell’ex capo di gabinetto di Barack Obama.

 
Intorno ai boys una nuvola di ragazze bellissime, spesso seminude e quasi sempre interscambiabili tra di loro su sfondi di piscine, ville arrampicate sulla collina, scatole di vetro in cui si fanno o disfano carriere di giovani promesse, set di kolossal acquatici o film diretti da pazzi megalomani indipendenti…
Ideata da Doug Ellin, al suo meglio, Entourage era allo stesso tempo una satira dell’Hollywood dream e una sua celebrazione. Una cronaca disincantata della vita a Tinseltown e una brochure per la sua promozione pubblicitaria. Più The Player che Map to the Stars. Più una versione hollywoodiana di Sex and the City che il cattivissimo riff di Larry David Curb Your Enthusiasm o il noir feroce di Ray Donovan. Proprio grazie a questa sua qualità benevola, ammiccante, i camei celebri della serie, hanno incluso James Cameron, Le Bron James, Peter Jackson, Kanye West, John Cleese, Scarlett Johansson e Martin Scorsese.

 
In sala quattro anni dopo la fine della messa in onda, scritto e diretto dallo stesso Ellin, Entourage appare oggi un po’ stanco. Come era successo con Sex and the City, è un mondo che arriva sui grandi schermi fuori tempo massimo. Se non addirittura in controtendenza con lo zeitgeist contemporaneo, così carico di opinionismo politically correct che, un paio di mesi fa, il povero regista Cameron Crowe ha dovuto scrivere una lettera aperta per scusarsi di aver scritturato Emma Stone e non un’attrice di origine hawaiana nel suo ultimo film, Aloha, ambientato sull’isola di Ohau e distrutto dalla critica perché le parti principali del film erano interpretate da bianchi.

 
Di questo suo scollamento con i tempi sono prova le recensioni al vetriolo che hanno accolto Entourage in Usa, accusando il film di misoginia e insensibilità verso le donne. Come se i suoi valori e le sue gender politics, non fossero gli stessi degli inizi, quando Entourage (sull’onda del successo di The Sopranos) era stata accolta come un altro segno della reinassance del piccolo schermo.

 

 

Turtle è dimagrito, Eric aspetta un bambino (con una ragazza con cui non sta più) Vince vuole fare il regista e «Drama» forse sta per trovare il ruolo della vita ma, in questi quattro anni, i boys sono solo diventati più se stessi. Ari, rientrato da un pensionamento volontario è a capo di uno studio. Vince sposato e divorziato in un battibaleno è molto wellesianamente alla prese con il suo esordio alla regia, una produzione da cento milioni di dollari in cui lui stesso interpreta un famoso disc jockey con doppia vita alla Jeckyll e Hyde.

 
Nessuno ha visto il film (una proiezione sotto forma di mega party organizzata nella villa di Vince va in fumo all’ultimo momento) ma Ari promette che sarà il lavoro di un genio, anche se non riesce a convincere il ricchissimo texano che lo finanzia (Billy Bob Thornton) e il suo grasso figlio con ambizioni di produttore (Haley Joel Osment).

 
Già dalle prime inquadrature – una moltitudine di ragazze in bikini su un panfilo, a Ibiza- si capisce di cosa si tratta: Entourage non è un film bruttissimo o con cui arrabbiarsi. Basta pensarlo come un colorato cocktail estivo a cui purtroppo si è sciolto il ghiaccio.