È stato uno dei volti «pasoliniani» per eccellenza, il Cristo de Il Vangelo secondo Matteo, finito involontariamente nel cast del capolavoro del regista e poeta friulano: Enrique Irazoqui, scomparso la notte scorsa, il 16 settembre, in un ospedale di Barcellona. Aveva 76 anni.

ATTIVISTA politico, intellettuale, accademico, scacchista e attore «per caso», legato solo per breve tempo al mondo della celluloide, nonostante qualche occasione non sia mancata. All’epoca dell’incontro con Pasolini Irazoqui è uno studente diciannovenne, in Italia per conto del sindacato universitario clandestino di Barcellona che lo aveva incaricato di cercare appoggio da parte di personaggi di spicco del panorama culturale italiano.

Risale a quel periodo l’incontro con Nenni, La Pira, Pratolini, Bassani, Morante e, naturalmente, Pasolini, che accetta di recarsi in Spagna per sostenere la causa antifranchista ma in cambio, folgorato dall’intensità del suo sguardo, gli chiede di recitare nel film che si apprestava a girare a Matera. Il cinema, però, una certa idea di cinema, va decisamente contro gli ideali marxisti di Irazoqui, che per di più si professa ateo. Il ruolo di Cristo non rientra di certo fra i piani del suo viaggio in Italia.

In qualche modo, comunque, si convince e accetta, se non altro allettato dal compenso poi devoluto alla causa del movimento clandestino antifranchista, ma anche su spinta di quanti gli suggerivano di interpretare un Gesù «gramsciano».

«Non gli ho mai detto di trasformarsi in qualcosa di diverso, di interpretare o di sentire che lui era Cristo. Gli ho sempre detto di essere esattamente ciò che era. L’ho scelto perché era quello che era, e mai, nemmeno per un momento ho voluto che fosse qualcun altro diverso». Parola di PPP e, del resto, di quell’esperienza Irazoqui raccontava di non aver mai avuto l’impressione di trovarsi sul set di un film. Si girava per una decina di minuti e poi, via, a giocare a pallone.

«INIZIALMENTE – ancora secondo Pasolini – questo giovane studente spagnolo era inibito sul fatto di dover interpretare il ruolo di Cristo, lui non era nemmeno credente. Il mio primo problema fu far interpretare Cristo a una persona che nemmeno ci credeva. Non era una persona estroversa o un tipo comune. Era psicologicamente complesso. Perciò è stato difficile nei primi giorni convincerlo a vincere la sua timidezza, la sua moderazione, le sue inibizioni. Ho fatto appello alla sua buona volontà. Era un giovane uomo molto intelligente e colto, legato a me da un’amicizia cresciuta fra noi in quei pochi giorni. Aveva, però, le basi per una formazione ideologica e un desiderio abbastanza forte di essermi utile. È in questo modo che è riuscito a superare la timidezza».

Al rientro in Spagna l’accoglienza non è delle più calorose. La sua partecipazione allo «scandaloso» Vangelo, Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia nel 1964, aveva attirato l’attenzione del regime franchista che lo punisce per aver partecipato a un film «di propaganda comunista». Meglio partire. Firmando in patria altre due pellicole della sua breve filmografia: Noche de vino tinto di José María Nunes, nel 1966, e Dante no es únicamente severo, di Jacinto Esteva e Joaquín Jordà, l’anno seguente.

ENRIQUE si laurea a Parigi e negli States. Prima in economia (ma anche questa disciplina non lega bene con le sue inclinazioni), poi in letteratura spagnola, materia che insegnerà in diverse università americane coltivando l’hobby degli scacchi (nel ’68 vinse contro Marcel Duchamp). Il cinema non è più tra i suoi orizzonti, probabilmente non lo è mai stato. Pare che Pier Paolo volesse girare un film tratto da un suo testo intitolato Il Padre selvaggio, ma solo a condizione di averlo come protagonista. Irazoqui rifiutò perché «più interessato a fare la rivoluzione che il cinema». Nel 2011 però fa ritorno a Matera per una mostra su Pasolini, diventando cittadino onorario e in qualche modo chiudendo il cerchio che per sempre li lega.