Enrico Vaime ci ha lasciato. E aumenta ancor di più il senso di vuoto per chi pensa che la radio e la televisione non siano sinonimi di svago narcisistico o di insistita stupidità. Vaime, infatti, è stato tra i protagonisti di un mondo capace di rendere possibile la produzione di consumo sì, ma di qualità. Vale a dire, la realizzazione di quella imprescrutabile mediana tra offerta d’élite e cultura popolare, capace di trasformare il divertimento in un’estetica. Dove il sorriso si accompagna alle leggerezza virtuosa, alla capacità di unire l’ironia alla visione malinconica, nella consapevolezza di ciò che di male preme attorno. E per dimenticare, per un attimo.

RADIO E TELEVISIONE diventano intelligenti, sapendo ibridare i generi – dal cabaret, al teatro, al musical, alla canzone, al cinema- in quel format chiamato varietà. E lì Vaime ha toccato vette altissime. In coppia con Italo Terzoli o da solo ha attraversato fin dall’entrata alla Rai per concorso nel 1960 i diversi meandri del flusso mediatico: dalle due edizioni di Canzonissima che portano la sua firma, a Quelli della domenica – che segnò il debutto televisivo di giovani talenti come Cochi e Renato e Paolo Villaggio, a Risatissima, a Batto quattro, a G.B. Show con il rinomato Gino Bramieri, ancora alla radio con Gran Varietà prima (Mina e Dorelli fra i conduttori) e Black Out, alla stagione in cui trasmigrò a La7 in cui ha fatto capolino da conduttore ovvero ospite fisso in talk come Omnibus o Coffee Break, alle messe in scena con Garinei e Giovannini. Fino ai recenti Anni Luce, Memorie dal bianco e nero, Di che talento sei?, S’è fatta notte; alle collaborazioni con Pippo Baudo e Maurizio Costanzo. Oltre 200 titoli. Vanno aggiunti i suoi numerosi libri.

Mina, Paolo Panelli e Walter Chiari a “Canzonissima” (1968)

Anni intensi e pieni di intuizioni, mutuate dai suoi dichiarati maestri come Ennio Flaiano, Cesare Zavattini o Marcello Marchesi. Da loro l’approccio sarcastico volto ad una comicità moderna, lontana dagli stereotipi della parolaccia, del doppio senso, della volgarità. Non si può neppure immaginare ciò che residua della parte migliore della comunicazione extra-news senza figure come Vaime. De resto, solo la capacità rabdomantica nel cogliere e ibridare i desideri del senso comune poteva reggere uno spettacolo di taglio classico come Canzonissima in pieno ’68. Con Terzoli e Verde, con l’apporto del trio Mina, Walter Chiari e Paolo Panelli e la brillante regia di un guru come Antonello Falqui, quell’edizione del canonico appuntamento del sabato sera divenne un cult, un riferimento per le emulazioni successive.

NON È STRAVAGANTE affermare che la storia del varietà è in un certo senso l’autobiografia di una nazione. E già, perché proprio nei territori dello svago infilato nei palinsesti, quando parrebbe persino lasco il controllo politico, si capisce quale sia la temperatura culturale. L’universo cui è appartenuto Vaime è connesso alla stagione della commedia all’italiana nelle sale ancora affollate, o al teatro della comicità adulta e ricca che viaggiava nei sipari del paese. Con una versatilità di scrittura mutuata dalla miglior letteratura. Via via, fino all’oggi così amaro e deludente (non ci sono più i cretini di una volta: una delle battute…), la parabola discendente del varietà ci racconta lo stato delle cose. Fin troppo banale prendere a mo’ di esempi di una televisione generalista in crisi di identità – di fronte all’assalto dei canali specializzati e della rete – Il Grande Fratello Vip o Ballando con le stelle. Senza sciocchi moralismi, ma attenendosi all’originalità creativa, se è vero che – al di là di ogni considerazione- ora le reti sono costruite su format acquistati all’estero e su ospiti organizzati da apposite società: scuderie, si usa chiamarle, peraltro quattro o cinque in tutto.

DI QUI, L’INSOPPORTABILE patina omologante, da varietà unico che procede imperterrito in assenza di alternative. La pandemia, poi, ha costretto ad aumentare la platea della fruizione e pure le ore di esposizione passiva. Ovviamente, le eccezioni non mancano, ma la tendenza pare inarrestabile. Insomma, le figure diverse o eccentriche faticano o navigano ai margini del villaggio.
Infine, un ricordo politico, non emerso nei ricordi. Vaime, con stile e sobrietà, non si è mai sottratto alle iniziative civili e democratiche. Nei passaggi fondamentali c’era sempre. Dalla parte del torto, spesso.