Si esce dal concerto del quintetto di Enrico Rava con Joe Lovano rigenerati, quasi ringiovaniti da una musica che sfida – in senso positivo e prospettico – il tempo. Il recital del gruppo al Parco della Musica è il penultimo del tour europeo, chiusosi la sera seguente a Lugano: varie date italiane con puntate a Belgrado, Oslo, Lussemburgo e Losanna per un incontro tra il trombettista italiano ed il sassofonista americano rinnovatosi dopo vent’anni.

E IL PUNTO nodale è qui: la capacità del linguaggio jazzistico del Rava-Lovano 5tet di mettere insieme e fondere più generazioni, diverse esperienze, l’arte e l’umanità di ciascuno in un risultato che diventa unico, esalta e potenzia i singoli ma supera le individualità attraverso un’idea partecipata e collettiva di musica. Accade quando ci si incontra con ispirazione, feeling, ascolto reciproco. Si pensi un momento alla composizione del quintetto: gli italiani Enrico Rava (79 anni magnificamente portati) e Giovanni Guidi (33, da 14 a fianco del trombettista in un processo di notevole maturazione); gli statunitensi Joe Lovano (italoamericano, 66 primavere con lunghe esperienze fin dagli anni ’80) ed una ritmica forte del contrabbasso del trentasettenne Dezron Douglas e della batteria del cinquantacinquenne Gerald Cleaver. L’uno ha suonato con Louis Hayes e Ravi Coltrane, l’altro con Charles Lloyd e Roscoe Mitchell. (24)

COME TERRENO di incontro Rava – nella serata romana sempre al flicorno – ha proposto brani del suo esteso repertorio, vivificati dal nuovo organico nelle tante combinazioni timbrico-ritmiche possibili, sfruttando il sax tenore e il soprano di Lovano come i linguaggi praticati da tutti i membri del gruppo. Nel 2018, con il jazz più che centenario, i musicisti si forgiano uno stile attingendo ad una lunga storia. Così Lovano può avere un suono ed un fraseggio aspramente free come un eloquio strumentale morbido e sinuoso su un tempo di ballad. Rava, poi, è sempre ispirato, attento, cerca le note “giuste” e colpisce per la sua sapienza lirica ed espressiva, per la ritmica aggressività, per la flessuosa capacità di disegnare una seconda voce. Giovanni Guidi ha ormai nelle dita una duttilità che gli consente di essere costantemente nel mood giusto, scarichi clusters sulla tastiera, costruisca una liquida introduzione a tempo libero o si produca in assolo.

ESSENZIALE, corposo, incalzante il bassismo di Douglas che si sposa ottimamente con il percussionismo di Cleaver, solido quanto ricco e anticonvenzionale. Immaginate questi cinque linguaggi intrecciarsi per avere un’idea del recital, della sua vibrante forza, del gioco continuo tra piani e sezioni, soli e collettivi, unisoni e polifonie. Nelle presentazioni finali Rava è stato chiamato da Dezron Douglas “The one, the only, the “Maestro”: parole esatte che si sono materializzate nel bis, un semplice pedale trasformatosi in un caleidoscopico interplay tra tutti gli strumenti.