Una scommessa è una scommessa, una fatica erculea, un’impresa. Ma una scommessa in cui finora molti si sono cimentati – Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e da ultimo Mario Monti – e tutti hanno perso portandone addosso cicatrici visibili e incurabili, può essere chiamata un azzardo. Enrico Letta, il premier più sottovalutato della storia della Repubblica italiana, declassato dagli avversari al rango di ’nipote’ dello zio Gianni (ormai arreso all’ineluttabilità dei capricci del Cavaliere) oggi tenta la mission impossible di disarticolare il partito berlusconiano, santo graal ventennale di quella parte della sinistra che è convinta – peraltro dalla sua storia – di non avere altre chance per la vittoria alle urne se non la divisione dell’avversario.

Ma il progetto che Letta, Enrico, tenta di portare a segno in queste ore viene da lontano. È, anzi, un’attitudine che nel tempo si è fatta obiettivo politico. Non è un caso che fra i ministri tentati di lasciare Berlusconi e compiere il primo gesto di insubordinazione collettiva per diventare, al minimo, «berlusconiani adulti», e al meglio una costola italiana del Ppe come ha lasciato intendere ieri il ministro Mauro (che già alle scorse elezioni ha lasciato il Pdl per Scelta civica), ci sono proprio quei giovani che da anni, prima di salire a Palazzo Chigi, con lui hanno fondato e condiviso «una discussione associativa alta», così viene spiegata: il confronto trasversale e costante in VeDrò, un – recita il sito – «think net nato per riflettere sulle declinazioni future dell’Italia e delineare scenari provocatori, ma possibili, per il nostro paese». Oggi VeDrò è congelato tendente alla dismissione, causa assunzione a Palazzo degli animatori.

Ma in quella vecchia definizione sembra di leggere la preveggenza di questi giorni, la profezia che si autoavvera, o che potrebbe: l’esplosione della destra, la nascita di un nuovo centrodestra che però guarda verso sinistra. Per ricomporre quel «centro-sinistra con il trattino», spiega Lucio D’Ubaldo oggi in Scelta civica ma fino alla scorsa legislatura democratico cattolico che predicava il ritorno al vecchio centro-sinistra attraverso «la disarticolazione del berlusconismo come condizione necessaria. E utilissima, come in fondo lo erano i repubblicani per la Dc: non solo per la maggioranza ma anche per la funzione razionalizzatrice dei processi della sinistra».

Letta a quest’idea non aderì affatto – era all’epoca il vice di Bersani. E però intanto alla «disarticolazione» lavorava. Fra i fondatori di VeDrò, con Letta, c’è mezzo governo. Alfano, oggi – almeno ancora per oggi – «diversamente berlusconiano» e cardine di una possibile scissione del Pdl; Beatrice Lorenzin, la ministra della salute che per anni ha lavorato a Palazzo Chigi con il fido Paolo Bonaiuti; Nunzia De Girolamo, esuberante ministra dell’agricoltura e l’ultima a unirsi al gruppo dei malpancisti, compagna – è cronaca – di Francesco Boccia, deputato Pd e fra i più stretti collaboratori di Letta, sebbene non insensibile al fascino di Matteo Renzi.

L’altro pezzo del governo lealista al suo presidente (del consiglio) viene dall’altro filone dell’antico lavorìo lettiano, quello dell’intergruppo sulla sussidiarietà, organismo parlamentare bipartisan voluto dieci anni fa da un gruppo di pionieri (il ciellino Lupi, Alfano, Bersani e lo stesso Letta), dove si è realizzato il più fitto rapporto fra teorici della sussidiarietà legati a Cl e quelli delle imprese cooperative della sinistra (ne ha fatto parte anche l’ex tesoriere ds Ugo Sposetti). Il coté sussidiario del governo, nella persona di Lupi (infrastrutture, dicastero gradito alle imprese della Compagnia delle Opere, braccio economico di Cl) è l’altro pezzo forte della pattuglia governativa Pdl ribelle. Lupi, che ha sostituito l’indagatissimo Formigoni sul trono politico dell’organizzazione cattolica. È cronaca dello scorso mese l’accoglienza del Meeting a Letta: «Il governo deve durare. Siamo contro qualunque falco», dichiarò Giorgio Vittadini, presidente della ciellina fondazione Sussidierità. La missione di dividere il vecchio Pdl larghintesista dalla nuova Forza italia è una missione impossibile. Ma, altro che veltroniana vocazione maggioritaria e sconfitta: quel trattino, per Letta, sarebbe la leva per riproporsi a Palazzo Chigi, con il suo nuovo centrosinistra, vecchio di zecca.