Lo abbiamo sperato in molti, senza avere certezze: ora possiamo dire con una certa serenità che quella di ieri è stata una giornata importante. Si può dire che la discussione sul manifesto “La via maestra” è stata qualcosa di più che un’indicazione per il futuro: nell’arco di poche ore si sono ascoltate parole autentiche sul passato della sinistra, sulle responsabilità di ieri, sulla situazione drammatica in cui si trova oggi la politica dei politici di tutte le aree tradizionali.
Molte sono le cose positive emerse alla fine: il riconoscimento che i cinque firmatari sono anche punti di riferimento da tutti rispettati e riconosciuti; la volontà di procedere insieme a mobilitazioni che occuperanno il tempo da qui al 12 ottobre, quando ci sarà la grande manifestazione che ci permetterà di cominciare il cammino sulla via maestra.
Sappiamo che è molto difficile tenere insieme associazioni e cittadini che hanno alle spalle tradizioni diverse, ma sappiamo anche che quella “politica costituzionale” di cui parlano Zagrebelsky e Rodotà è già di per sé un’indicazione concreta e non uno slogan provvisorio.
Mentre passavano le ore, mi pareva di vedere con una chiarezza che mi era mancata fino a quel momento la vera posta in gioco di questa fase, la diabolica manovra che è stata innescata il giorno in cui si è intravisto quella che viene definita “la grande occasione”: approfittare cioè di una crisi tremenda come l’attuale per “blindare” l’imposizione di una nuova Costituzione legandola alla sorte di un governo che non può cadere pena l’abisso, lo spread, ecc.
La riforma della Costituzione e il metodo scelto per attuarla è un atto con cui il governo Letta ha sostanzialmente espropriato il Parlamento da scelte che la Costituzione stessa aveva ad esso riservato. Questa è la sostanza della questione, comunque si voglia rigirarla. La Costituzione italiana nata dalla Resistenza sta per essere sostituita, nel nome del decisionismo, dalla Costituzione delle Larghe intese, le quali stanno impiegando tutto il potere governativo e privato mediatico per propagandare qualcosa di assolutamente incostituzionale (nel giudizio di una cittadina, che costituzionalista non è).
In altri tempi questa manovra (che sarà compiuta con l’arrivo di Giuliano Amato, presidenzialista da sempre, alla Corte Costituzionale) avrebbe avuto definizioni assai meno tranquille di quelle che sto adoprando io.
Il presidente del Consiglio non perde occasione per affermare che l’Italia è un Paese incatenato, da qui la difficoltà di governare: lo dice lui, come lo dicevano Craxi e Berlusconi.
Vorrei dirgli: Enrico, fermati. Ma lui non mi sentirebbe.
Vorrei dirgli: gli aggiustamenti che potrebbero essere fatti, a cominciare dalla diminuzione del numero dei parlamentari, non si fanno così e non toccano al governo. Ma lui non mi sentirebbe.
Sentirà forse la voce del 12 ottobre. Sarebbe bello che la ascoltasse.

Intervento tratto da Libertà e giustizia