All’Assemblea aperta di Pèrama non è un giorno come gli altri. Oggi a una donna che si chiama Speranza è nato un bambino e loro ci scherzano su, giocando sullo slogan della campagna elettorale di Syriza «la speranza sta arrivando»: «Non solo è venuta ma ha pure partorito».

C’è euforia, alla riunione settimanale di questi ex portuali, ex camionisti, ex lavoratori, travolti dalla crisi dei cantieri navali del Pireo come la stragrande maggioranza degli abitanti di questo sobborgo di 30 mila abitanti della Grande Atene che affaccia su uno dei più importanti porti del Mediterraneo. In questa zona un tempo operaia e storicamente di sinistra, ridotta allo stremo dai tagli al welfare e dalla mancanza di lavoro, nonostante non tutti abbiano votato per Syriza le aspettative verso il nuovo governo sono tante. Thanassis, per esempio, è del Kke, il Partito comunista che da queste parti conserva un radicamento di tutto rispetto, e da lui ti aspetteresti fuoco e fiamme contro i cugini-coltelli di Syriza. Invece lui ritiene che il governo della sinistra sia «un fatto molto positivo» e crede che «Alexis Tsipras farà quello che ha promesso, soprattutto a livello sociale».

Qui tutti attendono che il neo premier faccia quel che ha promesso per risolvere l’emergenza umanitaria, innanzitutto: bloccare gli sfratti, sospendere i distacchi della luce e dell’acqua ai morosi, garantire trasporti gratuiti ai disoccupati. Si tratta di problemi che vivono sulla loro pelle. Non passa giorno che, solidali gli uni con gli altri, non debbano intervenire per evitare che qualcuno venga buttato fuori di casa, non si fiondino nei tribunali a presidiare le aste per evitare che i corvi delle società immobiliari facciano man bassa degli appartamenti confiscati, non vadano negli uffici dell’ente per l’energia elettrica per impedire che stacchino la corrente a qualche poveraccio, non fermino i clienti dei supermercati per farsi regalare un pacco di pasta, una bottiglia d’olio, un chilo di riso da distribuire a chi non riesce a mettere insieme un pranzo e una cena, non invitino chi è senza lavoro a non fare il biglietto del bus e a mostrare ai controllori la tessera da disoccupati, con il risultato che, pur non avendo ottenuto «quello che avevamo richiesto», «l’azienda dei trasporti non manda più i controllori a Pèrama», come spiega sorridendo Giorgios, uno dei partecipanti all’Assemblea.

«Il male necessario»

Sembra fantascienza, ma è realtà. Fino a qualche anno fa questo comune di 25 mila abitanti era un dignitoso sobborgo operaio affacciato sul mare, insieme alla vicina Keratsini era il luogo in cui risiedevano i portuali, una presenza storicamente di sinistra, massicciamente sindacalizzate (con l’egemonia del Pame, il sindacato vicino ai comunisti del Kke), protagonista di tante manifestazioni e scioperi. Poi è saltato tutto. La fine della contrattazione collettiva (che Tsipras promette di reinserire, dovrebbe essere uno tra i primi provvedimenti del governo), la precarizzazione del lavoro e su tutto la chiusura dei cantieri navali l’hanno trasformato nel più grande serbatoio di disoccupati della Grecia, che qui sfiorano l’80 per cento della popolazione, quasi il triplo della media nazionale.

Qui la crisi umanitaria si tocca con mano. Per rendersene conto basta farsi una passeggiata. Médecins du monde, che è arrivata a fornire assistenza sanitaria, ha denunciato persino problemi di denutrizione nei bambini. Pagare una bolletta per molti è un problema insormontabile: all’Assemblea aperta mi raccontano che sono dovuti intervenire per impedire lo sfratto di una loro compagna che non riusciva a pagare 700 euro di arretrati dell’acqua. I sussidi di disoccupazione, 300 euro mensili, sono terminati da tempo e la maggioranza della popolazione vive con appena duecento euro al mese. Per questo all’Assemblea aperta, uno spazio sociale nato nel 2011 sull’onda del movimento di Piazza Syntagma (ai tempi degli Indignados e degli Occupy) si danno una mano l’uno con l’altro: quando uno di loro non può pagare si interviene, se qualcuno ha bisogno di cibo glielo si trova, e così via. Basterebbe questo a spiegare la grande voglia di cambiamento che si respira. Nemmeno l’alleanza con il partito di destra dell’Anel non è presa in grande considerazione. «Un male necessario», la definiscono sorridendo a denti stretti.

Lo spartiacque, nella Grecia di oggi, è tra chi ha sostenuto l’austerity e chi invece vi si oppone, e per questo in molti vedono meglio un accordo di scopo con l’Anel che una trattativa con Potami, l’altro partito (di centrosinistra) che avrebbe potuto allearsi con Syriza, considerato invece troppo europeista. E il Kke? In molti qui l’hanno votato, però, dice Thanassis, «l’unica volta in cui i due partiti sono stati insieme (alla fine degli anni ’80, ndr), è stato un disastro». Viene apprezzato anche il primo atto pubblico del neopremier: quello di andare a deporre dei fiori al poligono di tiro di Kesariani, dove duecento greci furono uccisi dai nazisti. A Baghellis, un altro partecipante all’Assemblea che vuole qualche informazione sui centri sociali italiani, piace il linguaggio nuovo che parla Tsipras, «meno ideologizzato e stereotipato di un tempo». «Se vuoi qualche riferimento culturale», mi dice, «devi cercarlo nella democrazia dell’antica Grecia, nell’autonomia e nel ‘68».

La verità è che la situazione, da queste parti, non è più sostenibile, le persone sono allo stremo delle loro forze e a nessuno viene in mente di fare opposizione preventiva a un governo che annuncia di voler risolvere, come prima cosa, la crisi umanitaria. Nerantzis Sidiras, 56 anni e un infarto alle spalle, scuote la testa: «È per colpa di Samaras se siamo in questa condizione». Mi racconta la sua storia: licenziato dai cantieri navali già alla fine degli anni ’90, si era messo a fare il camionista per una ditta che trasportava alluminio, un metallo di cui la Grecia è grande produttrice. Quando è cominciata la crisi economica, prima gli hanno diminuito lo stipendio («ero arrivato a guadagnare, con l’anzianità di servizio, 1100 euro»), poi nel 2012 l’hanno licenziato, perché aveva rifiutato la proposta di lavorare per 480 euro al mese. Ora vive con la pensione di invalidità: 350 euro al mese, 300 dei quali se ne vanno per l’affitto. Sua moglie non lavora e lo stesso vale per i due figli. Fosse stato da solo, sarebbe finito per strada. «Ho saputo che c’era qualcuno che provava a resistere e sono venuto qui. Quando mi hanno tagliato la corrente elettrica e l’acqua, me le hanno riallacciate. Loro mi aiutano e io collaboro alle attività». Nerantzis, come gli altri che si partecipano all’Assemblea, fa i turni davanti ai supermercati e collabora alle diverse iniziative. Un giovane mi spiega di aver guadagnato qualcosa per due mesi con i 400 euro dei corsi di formazione europei, poi è finita.

Si fa fatica a pensare che, finché c’erano i cantieri navali, questo era un comune dall’edilizia selvaggia ma fiorente, con una forte solidarietà operaia e una discreta cultura politica, di cui rimangono gli echi tra i partecipanti all’Assemblea aperta. Com’è stato possibile ridursi in questo stato? A chi addebitare le responsabilità: alla classe politica greca, all’Europa che ha badato solo ai propri interessi? Qui hanno pochi dubbi: vorrebbero che i politici che hanno retto il Paese negli ultimi vent’anni, in primis Antonis Samaras ed Evangelos Venizelos (i segretari di Nea Democratia e del Pasok, rispettivamente ex premier ed ex vicepremier), fossero giudicati in un’aula di tribunale. Un altro ex operaio se la prende invece con i tedeschi e urla «basta con il capitalismo della Merkel».

Gli indignati di Pèrama

All’Assemblea aperta di Pèrama si discute cosa fare ora che in Grecia, per la prima volta nella storia, c’è un governo di sinistra. C’è chi dice che bisogna aspettare le prime misure di Tsipras e poi comportarsi di conseguenza, chi sostiene che è necessario valorizzare le affinità piuttosto che le differenze tra i militanti, in buona sostanza cercare di trovare i punti in comune tra la base filo-Syriza e quella filo-Kke, chi propone di darsi degli obiettivi come i trasporti gratis per studenti e disoccupati e chi invece sostiene che «bisogna pensare anche alla questione culturale», in un quartiere dove il 30% degli abitanti non ha finito neppure la scuola elementare. C’è in vista l’organizzazione di una festa, hanno ottenuto che l’ingresso nei teatri sia gratuito per i disoccupati e al sindaco, che è di Syriza, chiederanno di assegnare loro uno spazio pubblico perché per il locale in cui si riuniscono a fatica riescono a raccogliere i soldi per pagare i trecento euro dell’affitto.

I killer di Killah P

La situazione disperata di Pèrama ha prodotto anche i suoi mostri. La notte del 18 settembre 2013 Pavlos Fissas, meglio conosciuto come Killah P, rapper e sindacalista metalmeccanico, proprio da queste parti fu aggredito da una banda di neofascisti e colpito a morte, in presenza della sua fidanzata e, secondo i testimoni, di alcuni poliziotti che intervennero solo a giochi fatti. L’uccisione di Fissas è stato il peggiore atto di violenza nel quartiere a danno degli antifascisti, ma non l’unico. Le aggressioni sono all’ordine del giorno e ne hanno fatto le spese anche alcuni militanti del Kke. Alba Dorata fa politica attiva nel quartiere ed è pure andata bene alle elezioni, alimentando le consuete guerre tra poveri e pescando nelle sacche di popolazione che sfogano il loro risentimento contro gli immigrati. I neonazisti si sono messi a loro volta a distribuire cibo, «solo ai greci, mostrando la carta d’identità, con gran battage mediatico ma senza grande successo», sorride Athina, un’altra attivista, che poi racconta come, nel consiglio dei genitori della scuola media, di cui fa parte, dodici persone su quindici abbiano votato per loro. Alba Dorata ha provato persino a mettere in piedi un suo sindacato che, mi spiegano, «è arrivato a proporre salari di 18 euro al giorno», una sorta di braccio armato degli armatori per comprimere salari e diritti e contemporaneamente avere il controllo di una massa di lavoratori mantenuti in condizioni di ipersfruttamento.

L’Assemblea aperta è nata nel 2011, sull’onda del movimento di piazza Syntagma, al tempo degli Indignados e degli Occupy, e il suo simbolo è una bussola con quattro punti cardinali: solidarietà, autorganizzazione, resistenza e ribaltamento (che in italiano potremmo tradurre anche come rivoluzione). «All’inizio eravamo pochissimi, ma a Syntagma abbiamo incontrato, in quei giorni, altre persone di Pèrama. È lì che abbiamo deciso di aprire uno spazio di democrazia diretta, per togliere la gente dall’isolamento. Fino ad allora capitava di incontrarsi nei bar, senza però discutere di politica», spiega Babys, un attivista della prima ora. Il problema, spiega Nerantzis, è che «i greci sono rimasti addormentati per vent’anni, erano abituati al denaro facile. La crisi ha contribuito a svegliarli». Oggi all’Assemblea partecipano un’ottantina di persone. Tolti tre pensionati e altrettante persone che fanno lavoretti saltuari, sono tutti disoccupati. Uno di loro, Giorgios, dispensa una piccola lezione di democrazia: «Il lavoro fondamentale dell’Assemblea è quello di colpire la mentalità della delega. È proprio perché abbiamo lasciato fare a politici di professione e tecnici che ci siamo ridotti così. Cerchiamo di far capire alle persone che è dovere di ogni cittadino esercitare i propri diritti e crediamo che il popolo debba avere coscienza dei problemi ed essere informato sulla loro risoluzione».

Tutto ciò si risolve, oltre che nel mutuo soccorso umanitario, nel coinvolgimento di chiunque si avvicini a loro, con l’unico punto fermo dell’antifascismo, e nel cercare di ottenere dei risultati concreti. Baghellis sostiene che bisogna comportarsi come con i governi precedenti: «Dobbiamo mobilitarci, partecipare, rivendicare e imporre i nostri diritti anche con Tsipras, sempre con azioni collettive e stando sulla strada, perché le pressioni sul governo saranno grandi». Al di là di tutto, all’Assemblea aperta attendono fiduciosi che arrivi un segnale che l’era dei sacrifici insensati e del massacro sociale è stata definitivamente archiviata. E’ quello che si aspettano le vittime dell’austerità di Pèrama.