A partire dagli anni Cinquanta si rafforza sempre più nel nostro paese il cosiddetto cinema di genere, un mondo popolato da filoni quali l’eroico-mitologico (Ercole, Maciste, Ursus, Sansone), il western nelle sue forme più variegate, lo spionaggio all’italiana (risposte – anche parodiche – alle imprese di James Bond o di altri agenti segreti del cinema straniero), i Supermen all’italiana o l’exotica-erotica (da Bora-Bora alla saga di Emanuelle nera). Non sorprende quindi che musicisti come Ennio Morricone, Piero Piccioni, Piero Umiliani, Gianni Ferrio, Luis Bacalov, Bruno Nicolai, Riz Ortolani, Berto Pisano, Alberto Baldan Bembo, Augusto Martelli, Armando Trovajoli, Alessandro Alessandroni o Nico Fidenco si cimenteranno con una sfilza travolgente di pellicole passando agilmente da una trama all’altra, da un genere all’altro.
Forse è proprio questo rutilante interscambio di generi, musiche, attori, copioni e registi che tra il 1968 e il 1972 indurrà Ennio Morricone, scomparso lo scorso 6 luglio, il nostro più rappresentativo compositore di musica da film, a dedicarsi al thrilling tentando di affrancarsi dalle melodie western che fino a quel momento lo avevano caratterizzato. Per sottrarsi alla nomea di «quello dell’armonica», del duello all’alba e dei pistoloni, il compositore avrebbe, infatti, rifiutato numerose offerte di lavoro, evidenziando una grande capacità di trasformazione ed evoluzione.

SCERIFFI E PISTOLE 
Non a caso il passaggio da titoli come Per qualche dollaro in più o Il buono, il brutto, il cattivo a film come L’uccello dalle piume di cristallo (1969), Le foto proibite di una signora per bene (1970) o Una lucertola con la pelle di donna (1970), si rivelerà per molti fanatici di sceriffi e pistole un vero e proprio shock culturale. Del resto Morricone non cercava facili «travasi artistici», al contrario continuava a seguire direzioni personalissime.
Come Bernard Herrmann nei film di Alfred Hitchcock, Nino Rota in quelli di Federico Fellini o John Barry nelle pellicole dedicate alle imprese di James Bond, anche Morricone ha sempre utilizzato la musica (in particolare nei film di Sergio Leone) per completare e ampliare il senso di una scena o il punto di vista di un personaggio. In C’era una volta il West, ad esempio, era la musica ad avvertire lo spettatore della presenza di Charles Bronson in un determinato luogo (il granaio) ben prima che l’attore fosse apparso sullo schermo.
Le stesse tecniche sarebbero ricorse anche nel cosiddetto Morricone pauroso. Si tratta essenzialmente di thriller in cui suspense ed intrighi erotici riconfermavano modelli femminili sessualmente stereotipati (perversione, lesbismo) tipici di tanto esotismo cinematografico Usa anni ’50. Musicalmente rappresentavano una svolta ardita per il compositore che rifiutando cavalli e pistole tendeva ad inglobare un vocabolario artistico «aperto» che tenesse conto anche delle sonorità più in voga al tempo. Ecco allora echi di bossa nova e di Antonio Carlos Jobim nella colonna sonora de Le foto proibite di una signora per bene o di Burt Bacharach in Una lucertola con la pelle di donna. Inoltre gli ensemble dell’artista erano stati per scelta drasticamente ristretti e ridotti all’essenziale. Addirittura nel tema del Le foto proibite… l’organo elettrico saliva in primo piano predominando sugli altri strumenti.
A tal proposito è interessante notare che la presenza di questo strumento in tante colonne sonore italiane non è sempre stata giustificata da motivi artistici. Al contrario veniva spesso utilizzato per ragioni meramente economiche, supplendo all’impiego di fiati e di archi, o più in generale ai costi dell’orchestra. Insomma riempiva, ingrossava il tenore generale delle composizioni e soprattutto faceva risparmiare.

GLI INCASSI
Va, infatti, ricordato che le percentuali degli editori sugli incassi dei film non erano presumibilmente elevate e dunque si tendeva a ridurre i costi degli orchestrali prevenendo eventuali fiaschi al botteghino. Negli Stati Uniti i produttori erano addirittura contrari ad un impiego massiccio dell’Hammond ritenendo il suo utilizzo indice di ridotte possibilità economiche e di una scarsa attenzione alla musica da parte dell’editore. Non è un caso che proprio l’organo elettrico sarebbe divenuto uno degli strumenti di riferimento del cinema Usa di serie B.
Al contrario i compositori più rinomati – e più remunerati – tendevano ad inserirlo in complessi ambiti orchestrali restituendogli il caratteristico ruolo di «strumento d’accompagnamento».
Pur potendo contare su ensemble allargati e ampie orchestre, l’organo elettrico diventa, però, per Morricone un vero e proprio grimaldello. Scardina il passato epico marcando una scelta di campo, segnando l’entrata in un’area semantica volutamente altra rispetto al passato. Emblematica come detto proprio la colonna sonora de Le foto proibite… – soundtrack capolavoro con i vocalizzi dell’indimenticata Edda Dell’Orso – in cui lo strumento vola altissimo, predomina, crea ritmiche serrate e travolgenti (si riascolti un frammento come Allegretto per signora). Insomma altri mondi.

I PRIMI TRE
Questo lato più sotterraneo e meno epico dell’artista era parte di una nuova sensibilità morriconiana che evidenziava anche un gusto pervicace per il suono astratto, la contaminazione free jazz e l’improvvisazione. Ossia per quei tratti stilistici già ampiamente sperimentati in Un tranquillo posto di campagna, il film di Elio Petri del 1968, e in seguito divenuti elementi distintivi dei primi tre lavori di Dario Argento (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio).
Dunque la collaborazione sperimentale con il Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza aveva dato i suoi frutti e per la prima volta un compositore stava ricorrendo al free jazz per musicare pellicole thriller/horror. Questa capacità di rigenerarsi letteralmente, di snaturare il suono western che produttori e spettatori agognavano rimanda in un certo senso a quanto fatto in ambito rock da nomi come David Bowie o i Beatles, quella ricerca a volte di un disorientamento creativo che aiuta compositore e ascoltatore a crescere in una maturazione costante. Va da sé che cambiando gli ambiti, cambiava anche il repertorio «effettistico» del maestro: con sospiri e respiri morbosi che si sostituivano ai rumori amplificati di sottofondo (rubinetti gocciolanti, ronzii di insetti) tipici dei primi western ecc. Insomma tutto mutava, trasformando quel breve lasso di tempo, dal ’68 al ’72, in uno splendido, irresistibile shock culturale.