La Tunisia resta in attesa di conoscere il proprio futuro dopo la decisione del presidente Kais Saied, lo scorso 25 luglio, di congelare le attività parlamentari e il governo per almeno trenta giorni.

Nel frattempo al colpo di mano del responsabile del palazzo di Cartagine si sono susseguiti alcuni importanti decreti presidenziali. In primis la nomina di un nuovo ministro degli Interni, Ridha Gharsallaoui, carica che fino a neanche dieci giorni fa era occupata a interim dal primo ministro Hichem Mechichi.

Una lunga carriera all’interno della polizia prima di diventare consigliere per la sicurezza nazionale del presidente, Gharsallaoui va a occupare uno dei ministeri chiave del paese. Un’istituzione che ha faticato a riformarsi dopo la cacciata di Ben Ali nel 2011 e che ancora oggi è al centro del dibattito pubblico per gli arresti arbitrari e le violenze perpetrate dalla polizia durante le manifestazioni degli scorsi mesi.

Quello di Saied è un primo passo verso la composizione di un nuovo governo che lui stesso ha annunciato di voler nominare ma che ancora oggi fatica a vedere la luce. Diverse organizzazioni della società civile hanno chiesto a più riprese un foglio programmatico per uscire dallo stallo politico e istituzionale che vede ormai incarnare in Saied il potere esecutivo, legislativo e giudiziario.

Il ruolo centrale del presidente in questa delicata fase politica si è sentito soprattutto negli arresti di alcuni deputati che dal 25 luglio non godono più dell’immunità parlamentare. Si tratta di Maher Zid e Mohamed Affes del partito estremista Al Karama e di Yassine Ayara, blogger e politico indipendente che negli scorsi giorni aveva duramente criticato la mossa presidenziale.

Nella lunga partita a scacchi che si giocherà da qui a fine agosto, il leader del movimento di ispirazione islamica e presidente del parlamento Rached Ghannouchi – esautorato da Saied dopo mesi di tensione e anni da assoluto protagonista della politica tunisina – ha fatto la sua mossa.

In una lunga intervista alla stampa italiana, Ghannouchi ha parlato di uno dei dossier più delicati per l’Italia e l’Unione europea, quello migratorio, paventando all’orizzonte un boom di partenze: «Oggi potrebbero essere oltre mezzo milione, il malessere sociale acuisce il desiderio di partire. E parlo solo di tunisini. A loro si aggiungono i migranti dall’Africa subsahariana, che hanno già libero accesso al nostro paese. Se la nostra polizia cessasse di controllarli, il flusso sarebbe gigantesco». Ghannouchi ha dunque cercato legittimità al di là del Mediterraneo sottostimando che, con oltre 12mila partenze, il 2020 è stato l’anno in cui è ripresa la rotta tunisina.

Nel solo 2021 i tunisini sbarcati sono stati 7mila, dati in linea con 12 mesi fa. Le cause? Un’economia nazionale al collasso, acuita da una gestione catastrofica dell’emergenza sanitaria di Covid-19; la corruzione endemica che da decenni interessa la Tunisia; l’assenza di prospettive economiche e sociali dieci anni dopo la Rivoluzione dei gelsomini.