Dodicimila persone hanno sfilato ieri a Gela per ribadire il rifiuto del «protocollo Eni» che prevede l’assunzione di circa 1200 lavoratori. L’accordo risale al novembre 2014 ed è stato preceduto dall’annuncio – nel luglio dello stesso anno – della dismissione graduale degli impianti voluti 53 anni fa da Enrico Mattei e della riconversione «green refinery». Previste anche nuove opere di trivellazioni marine e terrestri nell’area. Nell’estate precedente si era parlato invece di circa 2500 assunzioni, la metà di quelle previste nel successivo protocollo. Una situazione difficile dal punto di vista occupazionale che è stata sostenuta solo attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali. Misure che ora sono in scadenza, alimentando la protesta nell’ultima settimana di blocchi e picchetti. Sulla «vertenza Gela» si è espresso anche l’arcivescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana che si è schierato con gli operai e la comunità e ha esortato a partecipare attivamente alla protesta.

Nella giornata di oggi il governatore Crocetta, in un incontro a Roma con la ministra dello sviluppo Guidi, porterà la proposta dei sindacati di prorogare ancora una volta gli ammortizzatori. Una soluzione a breve termine visto che problema si ripresenterà con le stesse dinamiche nel 2017. A tutto questo si aggiunge la questione ambiente; la conversione green sarà una soluzione? L’azienda,stanzierà 2,2 miliardi di euro per la riconversione «green» con un impianto alimentato al 90% da olio di palma e al 10% da biodiesel. Saranno da capire gli effetti di questo tipo di scelta, e le sue ricadute alla luce delle ultime ricerche scientifiche sull’olio di palma. E’ l’eterno ricatto tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro, in una terra che da troppo tempo attende risposte.

La protesta di ieri ha espresso una larga adesione. Ha coinvolto il consiglio comunale che ha proclamato uno sciopero generale al quale hanno aderito professionisti, dipendenti pubblici, politici, studenti sacerdoti che hanno manifestato verso il petrolchimico. La scritta «vendesi» campeggiava un po’ ovunque nel corteo, simbolo di una paura crescente. Un territorio sfruttato per cinquant’anni dalla multinazionale italiana rischia di subire serie perdite economiche, oltre all’abbandono che lascerebbe un degrado socio-ambientale disastroso.

La questione della salute e dell’ambiente è molto sentita in questa parte di Sicilia. Parlano da soli i dati sulle malformazioni infantili (+8% circa rispetto alle medie regionali), e quelli sull’inquinamento in generale, che hanno fatto di questo comprensorio un caso nazionale, con un territorio devastato e svenduto agli interessi privati. Una terra antica, che possiede innumerevoli bellezze storico-archeologiche e paesaggistiche, svalutata da un sempre più probabile disimpegno di Eni. «La mobilitazione a Gela proseguirà, alzando anche il livello dello scontro. E continuerà anche per il resto del settore petrolchimico in Sicilia, nel cui ambito vertenze come quella della Versalis a Priolo restano aperte». Questa è la decisione presa dalla Cgil Sicilia, riunita a Gela. «Non si può consentire – prosegue il sindacato – che pezzi importanti dell’industria abbandonino la Sicilia nell’assenza della politiche di sviluppo».