A Glasgow iniziano le azioni di “disturbo” dei numerosi eventi che, a margine della COP26, vedono presente una pletora di aziende del comparto fossile impegnate a darsi una pennellata di sostenibilità agli occhi del mondo.

La mattina di ieri è toccato a Eni, protagonista di un incontro tenutosi all’Università di Glasgow dal roboante titolo «Opportunità per una transizione più verde, le best practices del settore industriale italiano e britannico verso il net-zero». Attivisti di Fridays for Future Italia e della piattaforma scozzese Glasgow Calls Out Polluters hanno interrotto l’evento, denunciando il pessimo record ambientale dell’azienda, partecipata al 30 per cento dallo Stato, e facendosi portavoce dei messaggi dell’organizzazione mozambicana Justiça Ambiental!, che lavora a contatto con le comunità impattate dalle attività di alcune delle più grosse multinazionali estrattive del Pianeta, tra cui proprio l’Eni.

Proprio in Mozambico, dove Eni è capofila di un mega progetto di gas e partner di Exxon in un altro, l’arrivo dell’industria estrattiva si è rivelato una maledizione per le comunità locali. Il violento conflitto scoppiato nella regione di Capo Delgado, dove sono concentrati i giacimenti, ha causato oltre 2.600 morti e ben 670mila sfollati. Dopo l’attacco sferrato a marzo dagli insorti nella città di Palma, la francese Total ha deciso di lasciare il Paese dichiarando la forza maggiore. L’Eni invece continua a operare, affermando che le sue infrastrutture non siano a rischio.
Oltre a interventi in cui hanno ricordato come, a dispetto di tante belle parole, l’Eni stia per aumentare la produzione di petrolio e gas del 3,5 per cento nei prossimi sei anni, gli attivisti hanno srotolato uno striscione con la scritta “End Fossil Fuels”.

Dal Mozambico sono riechieggiate le parole di Dipti Bhatnagar, di Justiça Ambiental: “la sete di gas dell’Eni a Cabo Delgado ha comportato che intere comunità abbiano perso la loro terra e siano state sfollate dalle loro case. L’area è ora nel mezzo di un violento conflitto, alimentato dall’industria del gas, ma l’Eni non si assume alcuna responsabilità. Invece sparge sciocchezze sul presunto sviluppo che l’industria del gas porterà, anche se la storia ha dimostrato che, quando le compagnie estrattive arrivano in Africa, tutto questo non si verifica”.

Quindi per Justiça Ambiental l’unica soluzione è che l’Eni fermi immediatamente tutti i piani di sfruttamento, il suo estrattivismo neocoloniale e se ne vada subito dal Mozambico. Altrettanto forte il grido di disapprovazione di Marco Pitò, dei Fridays for Future: “i giovani in Italia non sopporteranno queste bugie e il palese disprezzo per le nostre vite, il nostro futuro. Abbiamo paura e dobbiamo smettere di farci ingannare da questi criminali del clima. È ora di farli chiudere e passare a un domani più sicuro e luminoso”.

L’azione di ieri inaugura quella che si prospetta una COP molto tesa e caratterizzata dalle proteste di attivisti da tutto il mondo, stanchi di dover ascoltare la vuota retorica di governi e multinazionali. Solo qualche mese fa, il Cane a sei zampe annunciava un’altra maxi scoperta di petrolio in Costa d’Avorio seguita da un’altra in Egitto, segno di quale sia ancora oggi il vero business della compagnia italiana. Un business la cui legittimità sociale si va riducendo sempre di più.