Per l’Eni la nuova era Descalzi, targata governo Renzi, doveva coincidere con un bel repulisti. La principale multinazionale italiana, infatti, negli ultimi anni è stata coinvolta in scandali di corruzione internazionale. Ma così non è stato. A soli quattro mesi dalla nomina a capo dell’Eni del delfino dell’uscente Paolo Scaroni – oggi banchiere alla Rotschild di Londra – il nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi risulta indagato dalla Procura di Milano per corruzione di pubblici ufficiali in Nigeria, insieme a Roberto Casula, il quale guida le esplorazioni del gruppo petrolifero in Africa.

L’accusa fa riferimento all’affaire della licenza Opl 245, contesa da Shell e vari attori nigeriani sin dall’inizio degli anni 2000. Dall’indagine emerge che l’intero importo di un miliardo e 92 milioni di dollari, pagato a metà 2011 da Eni al governo nigeriano dopo un lungo e sofferto negoziato pieno di colpi di scena, possa essere stato utilizzato in vari modi per pagare ogni corrente politica e contendente in Nigeria. E non solo. Ben 200 milioni infatti servivano per alcuni mediatori nigeriani e italiani, tra cui spicca anche l’architetto della loggia P4 Luigi Bisignani, che a fine 2011 aveva patteggiato una condanna di un anno e sette mesi a Napoli per associazione a delinquere.

Come spesso succede quando gli interessi sono troppi sulla stessa torta, qualcosa non è andato come doveva. Il cambio di governo in Nigeria a metà del 2010 ha mutato le carte in tavola, cosicché il piano ideato in Italia è fallito e il governo locale si è posto direttamente come intermediario, chiedendo un suo tornaconto. Dan Etete, ex ministro del petrolio del dittatore Abacha, che in passato si era auto-intestato la licenza per pochi soldi tramite la società Malabu, ha alla fine accettato il nuovo accordo tripartito all’inizio del 2011. Nota a margine, Etete era già stato protagonista dell’affaire Bonny Island per cui Snamprogetti del gruppo Eni era stata condannata per corruzione in Stati Uniti, Nigeria ed Italia. Tornando ai fatti di inizio 2011, il principale intermediario nigeriano in quota Eni, Emeka Obi, non è stato al gioco e ha intentato una causa alla Corte di Londra, dove erano bloccati ancora alcuni soldi dell’Eni, ottenendo 110 milioni di dollari.

Questa somma adesso è stata nuovamente bloccata in Svizzera in seguito a una ben articolata richiesta della Procura di Milano. Anche i rimanenti 80 milioni, forse pensati per il fronte italiano, sono stati nuovamente “congelati” dalla Corte di Londra, sempre su richiesta di Milano, su un conto alla JP Morgan. E così oltre all’indagine sulla società già notificata ad Eni nel luglio scorso, ieri è emersa l’indagine anche su Descalzi. Nel frattempo gli 800 milioni arrivati in Nigeria sembrano essere finiti in mille rivoli sospetti vicini al governo.

Questa vicenda è senza dubbio uno schiaffo per il governo Renzi, che alla assemblea degli azionisti del maggio scorso con il ministro Padoan aveva tentato di far approvare dalla società gli «standard di onorabilità» anti-corruzione per la nomina dei nuovi vertici, forte del 30 per cento di azioni in mano pubblica. I grandi investitori istituzionali hanno respinto la proposta con tanto di applauso ironico a fine assemblea. Il braccio di ferro tra le varie anime del governo ha alla fine imposto un interno come amministratore delegato, mettendo “di facciata” l’esterna Emma Marcegaglia alla presidenza.

Le associazioni Re:Common e Global Witness avevano menzionato in assemblea alla presenza del rappresentante del ministero dell’Economia i rischi della nomina Descalzi a fronte della controversa storia Opl 245 che emergeva dalla carte del processo Obi a Londra. Ma l’uscente Scaroni aveva ancora una volta ribadito che l’Eni non aveva usato intermediari e che non c’era stato nessun incontro tra Descalzi o funzionari Eni e Dan Etete. Così non sembra, ed ora la palla passa al governo Renzi, mentre il titolo Eni ieri ha lasciato in borsa l’1,63 per cento.