«Se non volete essere arrostiti nella mia padella, andate pure a passeggiare nel fuoco». Questo è il motto che i capitalisti inglesi nei decenni della rivoluzione industriale rivolgevano agli operai, «liberi» di non accettare i disumani contratti che essi imponevano a quell’umanità tormentata e umiliata che un giovane di ventiquattro anni, Friedrich Engels, descrive nel suo capolavoro di inchiesta sociologica, condotto, come recita il sottotitolo, «in base a osservazioni dirette e fonti autentiche»: La situazione della classe operaia in Inghilterra, oggi ripubblicato da Feltrinelli nella storica traduzione di Raniero Panzieri (pp. 428, euro 12,00) e per la cura di due valenti studiosi, Enrico Donaggio e Peter Kammerer, i quali da molto tempo sono impegnati nella intelligente riproposizione di testi classici dei padri del marxismo.

Pochi libri come questo, pubblicato per la prima volta a Lipsia nell’estate del 1845, hanno avuto il merito di scoperchiare il manto di ipocrisie e bugie con cui i primi capitani d’industria occultavano le sofferenze patite da milioni di uomini e donne costretti con le leggi, con la violenza, con il ricatto economico a sottostare ad un regime crudele di vita e di lavoro al quale si dovevano immolare per soddisfare lo «smisurato egoismo» della borghesia nascente, «una classe così profondamente immorale, così inguaribilmente corrotta … non conosce altra beatitudine che un guadagno rapido, altro dolore che la perdita del denaro».

ENGELS attraverso questa inchiesta compie un vero e proprio viaggio in quello che definisce un «inferno sulla terra» rappresentato nella prima metà dell’800 dall’«officina del mondo» inglese. Ma proviamo a entrare in alcuni gironi descritti dal nostro Dante socialista. Nei quartieri operai «non vi sono scoli né fognature né latrine… e perciò… si formano mucchi di sterco secco, da cui emanano vapori puzzolenti». Gli operai hanno solo vestiti di fustagno perché non possono comprarsi la lana e sono «poco in armonia con … l’umida aria inglese» e quindi soggetti a ogni tipo di dolori reumatici. Per quanto riguarda l’alimentazione, «le patate acquistate dall’operaio sono per lo più cattive, le verdure sono avvizzite, il formaggio è vecchio e di qualità scadente, il lardo è rancido, la carne secca, vecchia, tigliosa, di animali vecchi, spesso ammalati o crepati, e spesso è già mezzo putrefatta».

Quando le donne lavorano fuori casa, i bambini sono completamente abbandonati a se stessi e spesso «vengono investiti da carrozze o cavalli, sono vittime di cadute mortali, annegano o muoiono per ustioni». Inoltre quando sono incinte il padrone le costringe a lavorare «fino al momento del parto» e «avviene assai di frequente che donne che alla sera lavoravano ancora, il mattino seguente abbiano già partorito, anzi, non è neppure infrequente il caso che partoriscano direttamente in fabbrica, tra le macchine». La scuola è una chimera per milioni di minori sfiniti dal lavoro a cui si offrono pessime scuole serali dove «non si può pretendere seriamente che i giovani operai, dopo dodici ore di lavoro logorante, vadano… dalle otto alle dieci di sera».

UNA NORMALE VITA famigliare è impossibile: «una casa sudicia e quasi inabitabile, appena sufficiente a costituire un riparo per la notte, male ammobiliata e spesso non protetta dalla pioggia e non riscaldata, un’atmosfera pesante in una stanza sovraffollata non consente alcuna intimità familiare». Le giovani operaie che lavorano al tombolo sempre sedute e curve in ambienti chiusi, maleodoranti e non ventilati, «per sostenere il corpo costretto in questa posizione faticosa… usano un busto con stecche di legno, il quale, poiché la maggior parte di esse sono giovanissime e quindi hanno le ossa ancora tenere, data la posizione curva, sposta completamente lo sterno e le costole e provoca in generale l’atrofia del torace», (il suo inseparabile compagno Karl Marx richiamerà queste descrizioni nel primo libro del Capitale, ricordando che Engels aveva «compreso profondamente lo spirito del modo di produzione capitalistico»).

Potremmo continuare per decine di pagine, perché questo è il cuore del libro, la capacità di dire il «negativo» (la potente categoria di Hegel, maestro suo e dell’amico Karl) senza peli sulla lingua, la volontà di comprendere tutti i particolari dell’esistenza operaia e di esserne insieme partecipe e non algido resocontista (Gramsci insisteva su tale qualità del dirigente operaio che deve «sentire» oltre che conoscere). Come scrive il giovane rivoluzionario nella dedica (in inglese) «Alla classe operaia della Gran Bretagna», «volevo qualcosa di più della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita di tutti i giorni, discorrere con voi sul vostro stato e sui vostri tormenti, essere testimone delle vostre lotte contro il potere sociale e politico dei vostri oppressori. Così ho fatto: abbandonai la compagnia e i trattenimenti, il vino di Porto e lo champagne delle classi medie, e dedicai le mie ore libere quasi esclusivamente alle conversazioni con semplici operai; e sono insieme contento e fiero di averlo fatto». Vedere gli operai nelle loro case e parlare con loro non sarebbe stato forse possibile senza la fondamentale mediazione della sua compagna, l’instancabile attivista operaia irlandese Mary Burns che, insieme alla sorella Lizzie, lo introdusse in un mondo totalmente altro da quello di un giovane borghese figlio di un industriale tedesco.

QUEL CHE GENERALMENTE viene irriso dai cinici «realisti» della politica o dagli ilari «postmoderni» dell’intrattenimento, e cioè il prendere parte, la posizione, l’indignazione politica e morale (e nel caso di Engels il «tradimento» della sua classe di origine), è invece la molla che fa inorridire il giovane Friedrich quando osserva le vite spezzate dallo sfruttamento feroce da parte del capitale di adolescenti privati di futuro, di gioia, di affettività, di cultura, di aria pulita, di alimentazione, abitazione, vestiario degni di un essere umano. E quando questi adolescenti si ubriacano, si prostituiscono, delinquono, Engels non esita ad accusare l’ipocrita e repressiva classe borghese capace solo di rinchiuderli nelle orribili case di correzione e di lavoro o di mandarli ai lavori forzati o di farli marcire in carcere. Così come il giovane ventiquattrenne, che traduce in tedesco il suo amato Shelley, parlando dei progressi intellettuali del movimento operaio attraverso le lotte e le prime organizzazioni politiche e sindacali animate da cartisti e socialisti, non dimenticherà di ricordare che sarà proprio questo nuovo pubblico di lettori a raccogliere il messaggio più autentico di questa poesia: «Shelley, il geniale profetico Shelley, e Byron con il suo ardore sensuale e la sua amara satira della società attuale contano il maggior numero di lettori tra gli operai; i borghesi ne possiedono soltanto edizioni castrate, family editions, raffazzonate secondo l’ipocrita morale di oggigiorno».

COME SCRIVONO i due curatori Donaggio e Kammerer, uno dei temi centrali ancora oggi del libro di Engels è quello «dell’odio di chi lavora verso i padroni del lavoro». Perché solo spezzando le catene dello sfruttamento i lavoratori potranno finalmente sperimentare un’esistenza autenticamente umana. «Quanti sentimenti e quante capacità umane potrà aver salvato, giunto ai trent’anni, chi fin da fanciullo ha fatto ogni giorno per dodici ore e più capocchie di spillo o limato ruote dentate… un lavoro che esige tutto il tempo disponibile dell’operaio, gli lascia appena il tempo per mangiare e dormire, e non gli consente mai di fare del moto all’aria aperta, di godere la natura, per non parlare poi di attività spirituali». Sapendo che quest’odio è stato sempre accompagnato dai fondatori del socialismo moderno da una molecolare opera pedagogica diretta alle grandi masse e volta ad elevarne la cultura e la coscienza.

STRUMENTO di questa pedagogia generalizzata resta l’organizzazione, al di là del nome che essa assume. Necessaria non solo nell’Inghilterra di Engels ma nel nostro presente, nell’industria tessile di Dacca, nelle miniere di coltan del Congo, nei cantieri del Qatar ma anche nei campi popolati di braccianti-schiavi immigrati (e sempre più anche italiani) delle nostre campagne o nelle fabbriche tessili di Prato. In questa prospettiva, – ha scritto lo storico E. J. Hobsbawm – La situazione della classe operaia in Inghilterra «rimane un’opera indispensabile e una pietra miliare nella lotta per l’emancipazione dell’umanità».