C’è modo di trovare una soluzione capace di far installare 70 GW di rinnovabili nei prossimi 10 anni, quanto ci chiede la Ue, rispettando il paesaggio? Sì, perché il rispetto del pianeta e la conservazione della nostra eredità culturale sono due facce della stessa medaglia.

Sì, se si affronta la questione modificando gli atteggiamenti del passato. In effetti qualche problema c’è se le Sovrintendenze continuano a non autorizzare impianti anche in zone non vincolate.

Pensare di affrontare le enormi sfide che abbiamo davanti senza modificare stili di vita, valutazione delle priorità, rapporto con il territorio, significa essere fuori dalla realtà e andare incontro ad un disastro annunciato. Solo questo sembrerebbe un’ottima ragione per eliminare ogni preconcetto autoritario, ed abbracciare una visione «laterale».

Grandissima parte delle installazioni a terra di fotovoltaico necessarie per raggiungere gli obiettivi europei (parliamo di 50.000 ettari) potrebbero riguardare terreni marginali non coltivati da decenni. Questi terreni, abbandonati dagli agricoltori perché improduttivi, rappresentano meno del 2% della perdita di Superficie Agricola Utile italiana avvenuta negli ultimi trent’anni, stimata in tre milioni di ettari. Oppure utilizzare aree industriali dismesse: quindi nessuno pensa di installare in Italia impianti fotovoltaici ed eolici in aree vincolate, nei Sic, nelle Zps, nelle Aree protette e nei siti Natura 2000. Inoltre, l’evoluzione delle tecnologie consentono una maggiore produzione a parità d’ingombro rispetto agli impianti esistenti.

Per l’eolico, poi, oltre alle tecnologie del repowering sugli impianti esistenti, che riducono ulteriormente la già esigua occupazione di suolo, il Pnrr prevede l’installazione di pale eoliche off-shore galleggianti anche a distanze considerevoli dalle coste. Però non è solo l’urgenza climatica che ci deve guidare in queste scelte, ma anche un atteggiamento culturale, che riguarda contestualmente le ragioni dell’una e l’altra parte.

Oggi le tecnologie rinnovabili e le azioni di efficienza energetica, vista la loro diffusione che includono una integrazione nel patrimonio edilizio e una distribuzione sul territorio, determinano un nuovo modello dell’energia stessa che, vista anche la partecipazione attiva dei cittadini, assume le caratteristiche di un bene collettivo, partecipato e condiviso. Così come partecipate e condivise sono le recenti
definizioni del patrimonio culturale (si veda la Convenzione di Faro), che sottolineano il valore dell’eredità culturale secondo i concetti della sostenibilità, includendo questi ultimi, quindi, nella individuazione del rispetto e della tutela dell’ambiente. Questo significa che oggi occorre inserire le azioni di contrasto al cambiamento climatico tra le forme, inedite, di tutela, e tra queste il corretto uso dell’energia pulita.

Considerare cioè il processo di decarbonizzazione dell’energia uno strumento per la conservazione, alla stessa stregua del recupero conservativo di un bene culturale. L’Italia, con il suo grande patrimonio culturale più di altri Paesi è chiamata ad esercitare la sua leadership per dimostrare come efficienza energetica e uso delle fonti rinnovabili concorrano a preservare il significato e l’identità di un bene tramandato nei secoli. È tempo di riorientare il rapporto tra conservazione e sviluppo, da non considerarsi più in antitesi (la lotta ai cambiamenti climatici lo impone), e lo sviluppo nel caso di un bene culturale non può essere solo recupero e ripristino, ma qualcos’altro.

In quest’ottica, che rispecchia l’Agenda Onu 2030, efficienza energetica e uso delle fonti rinnovabili (ed efficienza energetica) sono chiamate però insieme a fornire una prova di responsabilità per selezionare quegli interventi che garantiscano la conservazione dell’identità e della testimonianza del bene, e della sua valorizzazione.

L’ambiente, parte del patrimonio culturale, necessita di un sistema di tutele specifiche e forse la più importante tra queste, quella che riguarda l’intero pianeta, è proprio la decarbonizzazione dell’energia. Questo perché il patrimonio culturale, nelle sue varie dimensioni, materiali ed immateriali, è, al pari dell’energia, una risorsa condivisa e un bene comune e proteggerlo diventa quindi una responsabilità comune.

* Prorettore di Sapienza Università di Roma per le Politiche Energetiche e Presidente del Coordinamento Free