Ieri sera Donald Trump ha preso la parola nel giardino della Casa bianca per annunciare che gli Stati Uniti si ritiravano dall’accordo di Parigi contro il riscaldamento globale. Un aspetto importante nell’annuncio è che Trump ha annunciato l’apertura di discussioni per ottenere condizioni migliori. Ciò significa che in pratica il ritiro effettivo degli Stati Uniti avverrà in un momento imprecisato, probabilmente non prima del 2020, nel pieno della campagna elettorale per la presidenza: non è chiaro, però, cosa avverrà nel frattempo visto che presumibilmente la deregulation ambientale di Trump provocherà un aumento delle emissioni da parte degli Stati Uniti, che sono il maggior responsabile dell’inquinamento, dopo la Cina (che peraltro ha una popolazione cinque volte superiore a quella degli Stati Uniti).

La decisione, giustificata con il dubbio pretesto che l’accordo costerebbe 3.000 miliardi di dollari e 2,5 milioni di posti di lavoro all’economia americana, arriva dopo che per mesi le due fazioni presenti tra i suoi consiglieri, i «nazionalisti» di Steve Bannon e i «moderati» guidati dal genero Jared Kushner si scontravano sul terreno del clima: i primi per un ritiro immediato, che avrebbe confermato la linea dura presa in campagna elettorale da Trump, secondo il quale la stessa idea di riscaldamento globale era una «truffa» propalata dai cinesi per danneggiare l’economia americana. I secondi, per un approccio più soft, maggiormente conciliante verso gli alleati e le organizzazioni internazionali, dove gli Stati Uniti sono assolutamente isolati su questo tema (sull’intero pianeta solo i governi del Nicaragua e della Siria sono contrari all’accordo).
Qualunque fosse la decisione presa, Trump sapeva di avere un prezzo politico da pagare: da un lato le promesse fatte in campagna elettorale di eliminare tutte le regolamentazioni ambientali di Obama (cosa sostanzialmente nel corso di questi mesi) per creare nuovi posti di lavoro. Dall’altro, non solo un’opinione pubblica che, al 70%, è favorevole all’accordo, ma anche pezzi importanti del capitalismo americano che da anni ormai si muovono nella logica di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica: non si tratta solo di Silicon valley ma perfino di parte dell’industria petrolifera, per esempio la Exxon da cui proviene il suo Segretario di stato Rex Tillerson. Da un lato i minatori di carbone del West Virginia, con cui Trump si è fatto fotografare recentemente alla Casa bianca per promettere il ritorno allo sfruttamento incontrollato di carbone e petrolio, dall’altro importanti consiglieri come Elon Musk, il fondatore di Tesla, la più importante azienda di auto elettriche, e di SpaceX, che vuole portare l’uomo a colonizzare Marte.

In questo senso, la decisione sul ritiro dall’accordo di Parigi è più che una scelta tattica, è una scelta su quale capitalismo si svilupperà nei prossimi anni negli Stati Uniti. La coalizione del «vecchio» (finanza, petrolio, armamenti) o quella del «nuovo» (energie rinnovabili, sharing economy)? I due modelli possono, in realtà, convivere benissimo: negli otto anni di amministrazione Obama le banche non si sono impoverite, i petrolieri hanno continuato a fare profitti, i mercanti di cannoni hanno esportato più di quanto non facessero con Bush e Clinton.Trump sembra però voler accelerare nel ripristinare il dominio di Wall Street e del Pentagono e difendere gli immensi investimenti dell’industria petrolifera e carbonifera, che rifiutano di essere svalutati da una transizione verso le energie rinnovabili.
Nonostante le proteste di Elon Musk e della California, Trump ha scelto e si tratta di una scelta costosa, non solo per l’ambiente ma anche per l’economia americana: i danni dovuti a fenomeni climatici estremi, come i tifoni, sono già pesanti. E nessuno ha calcolato quanto potrebbe costare l’aumento del livello medio dei mari a città immerse nell’acqua come Boston, New York, San Francisco o Seattle: nei giorni scorsi si è aperta una faglia nel ghiaccio dell’Antartide che potrebbe liberare un iceberg, o meglio un pezzo di Polo Sud, di dimensioni mai viste prima, equivalenti a quelle dello stato del Delaware.