Ci si può dichiare «green» continuando a produrre CO2? Eni pensa di «sì», semplicemente mettendo il gas serra delle attività industriali sotto al mare. Lo farà in Inghilterra, nella baia di Liverpool, e ad Abu Dhabi. Lo farà anche al largo della costa di Ravenna, nel Mare Adriatico, utilizzando depositi ormai esausti di gas metano. Da tornare a riempire, questa volta con anidride carbonica. La tecnologia si chiama Ccs, acronimo che sta per «Carbon capture and storage», cattura e stoccaggio di anidride carbonica.

Un progetto strategico per l’azienda, ha detto l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi che conta molto sul Ccs per raggiungere nel 2050 la tanto sbandierata neutralità energetica. Come? Puntando tutto sul gas (che resta un combustibile fossile inquinante) e provando a ripulire l’aria catturando la CO2 e nascondendola in maxi discariche sotterranee. Quella di Ravenna potrebbe essere la più grande del mondo. Un progetto che non piace agli ambientalisti e ecologisti di tutta Italia, in piazza a Ravenna e a Roma per dire No alla «grande opera».

AD APRIRE LE DANZE GREENPEACE, i cui attivisti ieri mattina a Roma hanno scalato il grattacielo sede generale dell’Eni e, nel giorno dell’assemblea degli azionisti, hanno dispiegato a 50 metri d’altezza uno striscione con la scritta «Eni killer del clima» e la testa del famoso cane a sei zampe che brucia il pianeta. Nel pomeriggio una manifestazione nazionale ha invece portato centinaia di persone a Ravenna per protestare contro il progetto di Ccs di Eni. Mentre a Milano, Napoli, e a Stagno, in provincia di Livorno, ci sono stati presidi contro le politiche energetiche del gigante degli idrocarburi. Un messaggio ai manifestanti è arrivato anche dagli ecologisti di Taranto, «siamo con voi, uscire dal fossile è l’obiettivo fondamentale di tutte e tutti noi».

Greenpeace davanti al quartier generale Eni a Roma

A SCENDERE IN PIAZZA A RAVENNA, a pochi minuti di distanza dal petrolchimico creato negli anni ‘50 del 900 da Enrico Mattei e che aspetta ancora un piano di riconversione, le maggiori sigle dell’ambientalismo italiano: Legambiente, Fridays For Future, Extinction Rebellion, e le 70 associazioni dell’Emilia-Romagna che si sono uniti sotto il nome di Rete emergenza climatica e ambientale Emilia-Romagna. Con loro anche attivisti del comitato Trivelle Zero delle Marche e i ciclo-ambientalisti veneti di Climate-Riders. «No al greenwashing e alla propaganda di Eni, sì alla giustizia climatica», hanno detto al megafono i manifestanti. «Il Ccs è sbagliato e non fa bene all’ambiente – ha attaccato Viviana Manganaro della Rete emergenza climatica – Permetterà di non smantellare gli impianti estrattivi esausti in mare, permetterà alle industrie inquinanti di apparire presentabili nascondendo la CO2 sotto terra, permetterà agli imprenditori e a Eni di non affrontare una vera transizione ecologica verso eolico e solare. Insomma tutti saranno felici e contenti tranne l’ambiente e noi che ci viviamo».

C’è poi il tempo dei soldi. Chi pagherà per il Ccs? Il progetto è stato depennato dal Recovery Plan, ma il ministro per la transizione ecologica Cingolani non ha chiuso definitivamente la porta. «Fino al 30 aprile – ha dichiarato – la Commissione europea ci aveva detto che nel Recovery non doveva esserci la Ccs. Poi il 3 maggio Timmermans (il vicepresidente della Commissione, ndr) ha detto che forse in fase transitoria si può fare. Spero che non ce ne sarà bisogno. Se saremo bravi a fare le rinnovabili, forse non dovremo farla».

INSOMMA NON È DETTO che soldi pubblici non saranno usati per finanziare il Ccs, e questo gli ambientalisti non lo vogliono. Forti anche di autorevoli pareri scientifici che smontano pezzo a pezzo il progetto di Eni. «Produrre CO2 per poi catturarla e immagazzinarla è un procedimento contrario ad ogni logica scientifica ed economica – hanno scritto gli scienziati di Energia per l’Italia – è molto più semplice ed economico usare, al posto dei combustibili fossili, le energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) che non producono né CO2, né inquinamento». Il Ccs, secondo i ricercatori, non solo potrebbe provocare attività sismiche ma non eliminerebbe «nemmeno l’inquinamento causato da combustibili fossili, che ogni anno causa in Italia 80.000 morti premature». Dunque una tecnologia inutile, potenzialmente pericolosa e costosa.

Perché allora Eni, nonostante tutto, punta sulle maxi discariche sotterranee di anidride carbonica? Perché sono funzionali al suo business ancora basato sui combustibili fossili, spiega il chimico Leonardo Setti dell’Università di Bologna. «Il core business dell’azienda è vendere gas e petrolio, il Ccs allora serve solo per allungare la vita di quelle fonti fossili, iniziando con l’idrogeno blu (prodotto con la combustione del metano e poi «ripulito» mettendo sotto terra l’anidride carbonica). Dal punto di vista scientifico il Ccs non si giustifica in una transizione energetica che porti fuori dal fossile – spiega Setti – piuttosto si riconverta Eni attraverso la ricerca e produzione di batterie elettriche».

AD APPOGGIARE la manifestazione di Ravenna anche la politica. Dalla Regione Emilia-Romagna si fa sentire il consigliere di Coraggiosa Igor Taruffi, che chiede investimenti sull’eolico offshore e non su «un’opera che prolunga la vita delle fonti fossili». I Verdi con la consigliera regionale Silvia Zamboni, da sempre contrari al Ccs, chiedono che la transizione ecologica, quella vera e senza il Ccs, parta dalle industrie a maggioranza pubblica come l’Eni. Mentre da Roma si fa sentire anche il Movimento 5 Stelle. «Il progetto per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica di Eni a Ravenna deve stare fuori dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – dichiara per il M5s il deputato Alberto Zolezzi, membro della commissione ambiente – Le risorse in arrivo dall’Europa non vanno sprecate per questa iniziativa che non ha nulla di sostenibile. Con il governo Conte II il MoVimento 5 Stelle aveva buttato fuori il progetto dal Recovery Plan e ora non accetteremo che ricompaia».