L’Italia ha tagliato del 17% le emissioni di gas climalteranti tra il 1990 e il 2018. Alla vigilia della Giornata della Terra è l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) a certificare i passi in avanti del nostro Paese: la presentazione dell’«Inventario nazionale delle emissioni in atmosfera» permette però di cogliere anche i limiti del percorso di riduzione in corso, e offre l’opportunità di indirizzare le politiche dei prossimi anni.

In termini assoluti, sono passate da 516 a 428 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, con la CO2 che rappresenta il gas serra più importante, e l’81.4% delle emissioni totali.

Seguono CH4, il metano, e N₂O, protossido di azoto, rispettivamente al 10.1% e al 4.1% delle emissioni totali, espressi in termini di CO2 equivalente. Spiega l’Ispra, così, che circa la metà delle emissioni nazionali derivano da due settori, e sono legati alla produzione di energia e ai trasporti, e quindi all’utilizzo di combustibili fossili.

Rispetto al 1990 queste non hanno registrato un calo, ma un aumento del 2%. «L’aumento maggiore è dovuto al trasporto su strada (+3%) a causa dell’incremento della mobilità di merci e passeggeri». È un’indicazione che «bussa» anche alle porte della nostra quarantena, condita da una corsa agli acquisti online.

Segno più invece per quanto riguarda la diminuzione delle emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche, che rispetto al 1990 scendono nel 2018 del 30%, a fronte di un aumento della produzione di energia termoelettrica da 178,6 Terawattora (TWh) a 192,7 TWh, e dei consumi di energia elettrica da 218,7 TWh a 295,5 TWh.

In parte a pesare su questa riduzione è il fattore «crisi economica»: le emissioni di anidride solforosa dell’industria del cemento, ad esempio, sono crollate nel 2018 al 40% del livello registrato nel 2005, perché il settore non s’è più ripreso dalla crisi del 2008, e la produzione due anni fa era appunto di 19,3 milioni di tonnellate, contro i 47 milioni del 2005, in piena bolla immobiliare e di grandi opere.

Altri elementi «di rischio» arrivano dai settori residenziale e rifiuti. Nel primo, le emissioni energetiche dal settore residenziale e servizi sono aumentate del 6%. E anche se questo avviene a fronte di un incremento dei consumi energetici pari al 18,3%, significa che le nostre case sono sempre più energivore.

Segnano un aumento del 5,6% anche le emissioni derivanti dalla gestione e dal trattamento dei rifiuti: secondo Ispra «le emissioni del settore sono destinate a ridursi nei prossimi anni, attraverso il miglioramento dell’efficienza di captazione del biogas e la riduzione di materia organica biodegradabile in discarica grazie alla raccolta differenziata».

L’agricoltura, infine: le emissioni di gas serra dal settore, che rappresenta il 7% del totale, calano, ma la maggior parte di queste – quasi l’80% – deriva dagli allevamenti, in particolare dalle categorie di bestiame bovino (quasi il 70%) e suino (più del 10%), mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici. In particolare, per gli allevamenti, la maggior parte delle emissioni deriva dalla fermentazione enterica e dalla gestione delle deiezioni (stoccaggio e spandimento). È tempo di cambiare dieta.