«Abbiamo interrotto le forniture di carbone dalla Colombia». L’assemblea degli azionisti dell’Enel si chiude con una notizia a lungo attesa dalla società civile italiana e internazionale. Incalzato dalle domande di Fondazione Finanza Etica, Re:Common e dall’ong olandese Pax, l’amministratore delegato Francesco Starace ha dichiarato ufficialmente che non sono stati rinnovati i contratti con la statunitense Drummond e con la svizzera Prodeco-Glencore per l’importazione di polvere nera dal paese sudamericano.

NEGLI SCORSI MESI, ha aggiunto Starace, l’Enel ha compiuto due missioni per monitorare la situazione nella regione carbonifera del Cesar. L’ad ha spiegato che non sono state riscontrate violazioni dei diritti umani in atto, ma che ciò non esclude che non siano state compiute in passato. Come d’altronde dimostrerebbe una lunga storia di violenze nei confronti della popolazione locale.

L’anno scorso il manifesto aveva intervistato Maira Mendez Barboza, la figlia del sindacalista Candido José Mendez, una delle 3mila persone assassinate nel Cesar dai paramilitari delle Atodefensas Unidas de Colombia.

Quando fu ucciso, nel febbraio del 2001, Candido Mendez era un dipendente della Drummond, a cui nel corso del tempo sono state mosse molteplici accuse di aver usato gli squadristi per “cancellare” ogni forma di dissenso da parte dei lavoratori.

LA COMPAGNIA ha sempre negato, forte di tre pronunciamenti di inammissibilità della causa da parte di corti americane. In alcune udienze dei procedimenti contro i paramilitari poi condannati per le stragi, ci sono state testimonianze che sembrerebbero smentire la versione della Drummond, che tuttavia non è ancora finita sotto processo nel paese latino-americano.

LA COLOMBIA È IL PIÙ GRANDE produttore di carbone dell’America Latina e il quinto esportatore al mondo. Le sue riserve potrebbero durare per i prossimi 200 anni. Val la pena rammentare che, oltre alle 3mila vittime accertate della violenza paramilitare, 55mila sono stati gli sfollati e oltre 200 i desaparecidos.

Che Enel, come già fatto dall’impresa danese Dong, rinunci al carbone macchiato di sangue è un segnale forte anche per le altre aziende del settore.

In un’assemblea che ha certificato la scontatissima conferma del presidente Patrizia Grieco e dell’ad Starace, non sono comunque mancate le voci critiche. La riconversione a biomasse della vecchia centrale del Mercure, al confine tra Calabria e Basilicata, nel Parco del Pollino, è stata aspramente contestata dalle organizzazioni locali e dal giovane sindaco di Viggianello, uno dei borghi confinanti con l’impianto.

E POI IL NODO CARBONE rimane, soprattutto in termini di impatti ambientali e sulla salute. È vero che l’energia prodotta da Enel dalla combustione della polvere nera è scesa sotto il 28%, ma quelli di Civitavecchia e Brindisi rimangono tra i 20 impianti più inquinanti d’Europa.

Anche in Spagna, come hanno riferito in assemblea le azioniste critiche dell’Iidma, Carlota Bautista e Ana Barreira, la controllata Endesa punta forte sul carbone, i cui impianti producono circa la metà di tutte le emissioni di Co2 nel paese iberico.

SE DA UN LATO ENEL fa sapere che gli impianti di Teruel e Compostilla saranno chiusi entro giugno 2020, quelli ben più importanti di As Pontes e Litoral beneficeranno di investimenti per portarli in linea con le nuove normative europee e farli quindi funzionare ben oltre il 2020. Lo stesso discorso vale per la centrale di Alcudia nelle isole Baleari.

E in Italia? «Chiuderemo a breve le centrali di Genova, La Spezia e Bastardo e non useremo più il carbone entro il 2030», la promessa di Starace, che ha così spiegato che il proponimento di diventare carbon neutral entro il 2050 è riferito alle emissioni di Co2.

Un percorso che inizierà con la rinuncia definitiva proprio al carbone. Per ora non si sono date precise per la chiusura delle centrali di Civitavecchia e Brindisi, ma è lecito sperare che non tardino ad arrivare.