Non è solo Trono di Spade Gwendoline Christie, che interpreta la temibile guerriera  Brienne di Tarth: l’attrice sembra  aver trovato la chiave dello zeitgeist culturale con ruoli in Hunger Games, Guerre Stellari e ora anche Top of the Lake: China Girl, il secondo poliziesco d’autore firmato Jane Campion, presentato in anteprima all’ultimo festival di Cannes  in cui Christie interpreta un’agente della polizia di Sydney. C’è  stato anche il tempo per un duetto con un suo idolo  di gioventù: Madonna, che l’ha invitata sul palco della tournée australiana per cantare assieme Unapologetic Bitch («enorme», afferma ancora incredula).

Non male per la ragazza che al liceo veniva schernita per il suo aspetto – è alta 1,93m – e cui anche gli insegnanti del prestigioso Drama Center London, dove ha ricevuto una classica istruzione teatrale inglese, dicevano di non farsi troppe illusioni. «Ho avuto un’ infanzia idilliaca, nella campagna inglese, ma ho sempre voluto di più», ricorda quando la incontriamo a Los Angeles. «A dieci anni ho chiesto ai miei le opere complete di Shakespeare, una biografia di Freud e un abbonamento a vita a Vogue», dice corredando il ricordo con uno dei suoi sorrisi assolutamente solari, prima di continuare l’intervista. In Italia la sesta puntata della nuova stagione del Trono di spade va in onda su Sky Atlantic domenica notte (ore 3) in contemporanea con gli Usa.

Come è stata l’esperienza di Cannes?
Da bambina sognavo di fare la ballerina ma non ho potuto, e così all’età di 11 anni ho deciso che volevo recitare. Una scelta dovuta anche al fatto che in quel periodo ho visto Un angelo alla mia tavola di Jane Campion, che ebbe un impatto enorme sul mio modo di vedere il mondo e di pensare all’espressione creativa. Ed ecco che mi trovo a Cannes proprio con Jane per la prima di Top of the Lake! È stato un momento travolgente – uno dei tanti per cui sarò eternamente grata. La stessa persona che mi aveva stimolato a diventare attrice mi ha dato un ruolo in una delle grandi serie di questa età dell’oro della Tv. Credo di poter morire contenta.

Quali sono state le prime ispirazioni?
Ero affascinata dai film di David Lynch che avevo trovato nella stanza dei miei fratellastri maggiori. Poi ricordo Tilda Swinton in Orlando, che era stato uno dei miei libri preferiti, e quel suo volto pallido: era così diversa da ogni attrice hollywoodiana a cui ero abituata. Ricordo di aver pensato che se c’era posto per questa creatura aliena e fuori dagli schemi, forse ci sarebbe stato anche per me.

Il suo personaggio in «Top of the Lake: China Girl» aggiunge un dose di commedia alla storia.
Da tempo cerco spazio per fare ruoli più comici.  Top of the Lake è divertente, ma soprattutto ha una struttura narrativa diversa da quella cui siamo abituati: si muove  in direzioni e a ritmi diversi. Jane sovverte le convenzioni attraverso personaggi inediti, complicati, «disordinati». Nel mio caso una donna straordinariamente forte che, come altri personaggi che ho avuto la fortuna di interpretare, è forte sia fisicamente che caratterialmente. Anche se in fondo si tratta di una donna che sta fallendo su tutti i fronti, ha difficoltà nei rapporti e la sua vita è molto complicata e per questo viene schernita e sminuita, è costantemente vittima della misoginia. In altre parole, riflette la semplice realtà umana che molti

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conosciamo. Il nostro difficile rapporto con il «successo».

Cosa ci può dire dell’esperienza con «Guerre Stellari»?
Ricordo quando all’età di sei anni i miei mi introdussero con solennità alla mia prima visione di Guerre Stellari (ride, ndr). Naturalmente a livello visivo è spettacolare, ma quel film  per me significò soprattutto una storia che  parlava di personaggi marginali, ribelli e disadattati,  che univano le loro forze e dimostravano che non importa il tuo aspetto, ognuno di noi ha un ruolo in questo mondo. A cominciare dalla principessa Leia che anche da bambina mi colpì  per spirito e indipendenza e perché non assomigliava alle altre attrici che ero abituata a vedere . E poi avevo una cotta per C1P8 – l’androide (ride).

 

Qual è stata la sua formazione?
Ho studiato in una scuola straordinaria , il Drama Center London, anche se all’ inizio mi hanno detto che difficilmente avrei lavorato per via del mio aspetto. Poi invece, pure se non è stato facile , ho iniziato a lavorare in teatro. Quando ho detto al mio agente che avrei voluto trovare dei ruoli nel cinema lui mi ha risposto che sarebbe stato molto difficile. Poi gli dissi che avevo saputo dei provini per un programma della HBO. La sua risposta fu: «Si vabbè, auguri». Ma le stelle si sono allineate e dieci mesi dopo indossavo i panni di Brienne in una serie che cominciava a far molto parlare di sé.

Con quel personaggio di «Game of Thrones» è diventata un’ icona femminista.
Sono incredibilmente fortunata ad aver potuto dar vita a Brienne di Tarth. È un personaggio totalmente anticonvenzionale – e parlo più delle sue azioni che del suo aspetto. Con lei ho avuto un legame  immediato. E sinceramente non mi aspettavo il successo che ha avuto. Anzi mi domandavo se il mondo fosse pronto ad accettare un donna così poco convenzionalmente attraente. È un modello positivo di femminismo e credo che anche Brienne in fondo trasmetta un messaggio a coloro che si sentono diversi e fuori dalle norme della società.  È sempre stato importante per me cercare di dar vita a personaggi femminili che sono più interessanti e realistici, più connessi alla realtà di ciò che significa essere una donna. Oggigiorno sono discorsi che vanno molto di moda – ma in fin dei conti è un bene che la discussione si sia aperta davvero. E se la gente finisce per associarmi in maniera positiva a tematiche femministe sono solo felice e devo ringraziare George R.R. Martin, Dave Benioff e Dan Weiss perché la scrittura di Game of Thrones è straordinaria.

Come vive la sua statura?
Sono alta così da quando avevo 14 anni, quindi ho avuto abbastanza tempo per concludere che non  c’è molto che possa farci. In generale però trovo strano il concetto di aspetto fisico. Carrie Fisher chiamava sempre il corpo «il contenitore per il cervello». Mi sembra la definizione più appropriata dato che nasciamo con un determinato corpo su cui non abbiamo veramente alcun controllo. Eppure è proprio su questo che veniamo così spesso giudicati. E mi è sempre sembrato davvero ridicolo. Ho avuto la fortuna di avere genitori e mentori che mi hanno sempre sostenuta. E ho sempre cercato di mettere questa idea nel mio lavoro: mi interessano progetti che parlano di diversità ed empatia, una qualità  che trovo essenziale nel mondo di oggi. Viviamo tutti insieme su questa roccia lanciata nello spazio, perché non dovremmo cercare di aiutarci l’un l’altro?