Qualche anno fa ebbi occasione di presentare a Milano il libro di Antoine Leiris Non avrete il mio odio (Corbaccio, 2016). Dopo aver perso la moglie, assassinata nel corso dell’attacco al Bataclan di Parigi nel dicembre del 2015, Leiris aveva indirizzato una lunga lettera ai terroristi, nella quale diceva loro che avrebbe fatto di tutto per impedire che l’odio divenisse la cifra della nostra società contemporanea, perché proprio quello – seminare paura e odio – era il loro obiettivo. Quella lettera e quel libro mi colpirono molto. Per la prima volta focalizzavo il fatto che due emozioni andavano occupando il campo delle nostre vite collettive: la paura, prima del terrorismo internazionale, poi delle crisi finanziarie ed economiche, degli effetti del cambiamento climatico, delle migrazioni globali e, infine del virus pandemico; l’odio verso i presunti responsabili di una diffusa situazione di malessere, indirizzato verso l’Islam, l’integralismo, i migranti, i «neri», gli ebrei, le persone Lgbt e altri «classici» bersagli del nostro mai sopito razzismo.

LE EMOZIONI oggi sono al centro della politica di chi incita all’odio dell’altro e alla chiusura per creare un rinnovato senso di comunità, come se avere nemici e avere paura fosse l’unico modo di stare insieme; fanno parte del lessico del marketing e della pubblicità (così detta «emozionale»), come nel celebre The taste of feeling; ravvivano la fredda comunicazione a distanza, con le note «faccine» emoticon o i kaomoji di origine giapponese. Le emozioni sono divenute una parte attiva e concreta delle nostre vite collettive, oltre che di quelle più intime e private.

Nella nostra società esiste ancora una diffusa tendenza a pensare le emozioni per opposizione: «primitive» e «selvagge», esse si opporrebbero al freddo, ma efficace calcolo della ragione; annidate da qualche parte nella mente, le emozioni indurrebbero effetti sul corpo, come se questo fosse un soggetto a parte; abitanti della natura umana, queste sensazioni perturbanti (il termine émotion nacque a quanto pare nella Francia del ‘500 per indicare le turbolenze atmosferiche) andrebbero messe sotto il controllo della «cultura» o civiltà. A lungo poi le emozioni sono state pensate come proprie di uno spazio privato, intimo e solo di recente avrebbero acquisito uno spazio pubblico.

Emozione vs ragione; mente vs corpo; natura umana vs cultura; privato vs pubblico: la principale caratteristica della più recente antropologia delle emozioni è quella di mettere profondamente in discussione questi modi oppositivi di rappresentare l’essere umano.
Nei loro viaggi in altre culture e negli sguardi rivolti al «noi», antropologi e soprattutto antropologhe (il lettore italiano troverà un’ottima rassegna in Poetica delle emozioni di Chiara Pussetti, Laterza, 2005) si sono resi conto che le emozioni sono culturalmente modellate (il che non significa «determinate»).

L’ANTICA DOMANDA se esse siano innate o apprese è tutto sommato priva di senso: come per il linguaggio, non proveremmo emozioni se non avessimo un substrato neuronale in grado di veicolarle, ma il modo in cui proviamo ed esprimiamo emozione è inevitabilmente segnato dall’ambiente e dalle esperienze personali. Lo prova la difficoltà a tradurre i nomi delle emozioni nelle varie lingue, lo prova la presenza di emozioni culturalmente specifiche e ancora lo prova la difficoltà che abbiamo nella nostra stessa lingua a definire e «contare» le emozioni.

Persino l’empatia ha un carattere culturalmente specifico. Per limitarmi a un esempio citerò i primi incontri che ho avuto con i kanak della Nuova Caledonia e con i polinesiani dell’isola di Futuna. Mentre tra i primi è uso abbassare gli occhi davanti a un estraneo, evitando lo sguardo diretto, tra i secondi prevalevano il sorriso, a volte persino la battuta e la risata sguaiata, senza mascherare gli sguardi. Significa che i primi sono abitanti di una società «timida» e «cupa» e i secondi «solari» e «aperti», come vennero visti dai primi europei?
Niente affatto. In entrambi i casi la lunga frequentazione consentirà di legarsi alle persone con rapporti di amicizia e anche di profonda empatia, come avviene potenzialmente tra tutti gli esseri umani. Ciò che è in ballo nei due casi è il modo culturalmente modellato e ritenuto appropriato di dar forma all’emozione di un primo incontro.

SECONDO LA DEFINIZIONE di Michelle Rosaldo (Verso un’antropologia del Sé e dei sentimenti, Argo, 1997), le emozioni sono «pensieri incorporati»: una concezione che fonde stati d’animo, corpi e razionalità, cogliendo la complessità dell’umano che sfugge a chi pensa per opposizioni. Questi pensieri incorporati nascono da esperienze personali e dalla partecipazione a gruppi o «noi» di diverse dimensioni. Pensare in questi termini le emozioni ci permette di dar conto anche delle loro dimensioni «collettive»: paure e odi contemporanei abbandonano allora il campo di forze oscure e irrazionali per diventare indizi del tempo e della società che viviamo.
La loro marcata presenza e l’assenza di emozioni «positive» (condivisione, convivialità, stupore, proiezione verso il futuro) ci danno preziose indicazioni sui periodi cupi che viviamo e aprono forse alcune strade per ripensare il futuro.

COME SCRIVEVA già nel 1888 Franz Boas (Race, language and culture, Free Press, 1940), fondatore dell’antropologia americana e maestro di Margaret Mead: «I dati etnologici confermano che non solo la nostra conoscenza, ma anche le nostre emozioni sono il risultato della forma della nostra vita sociale e della storia del gruppo cui apparteniamo».

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Scheda. Il programma del Festival dei sensi dal 28 al 30

Sarà dedicato interamente alle emozioni il «Festival dei sensi» (da un’idea di Milly Semeraro) che dal 28 al 30 agosto torna in Valle D’Itria, da Martina Franca a Locorotondo. Di felicità parlerà lo psicologo Paolo Legrenzi, di seduzione il neuroscienziato Giorgio Vallortigara. Adriano Favole (sabato alle ore 18 presso la Masseria Capece di Cisternino) passerà in rassegna «i sentimenti degli altri»; l’esperto di giardini e scrittore Antonio Perazzi, con l’architetto della sostenibilità Mario Cucinella, interverranno sulle città del futuro. Poi Derrick De Kerckhove, Edoardo Fleischner, Franco Toselli, Angela Vettese e altri. Il programma completo su www.festivaldeisensi.it