La responsabilità morale, almeno quella, l’ha ammessa. Amedeo Mancini, sentito ieri mattina dal Gip di Fermo che ne ha convalidato l’arresto per omicidio preterintenzionale aggravato dall’odio razziale, ha sì negato ogni addebito di carattere giuridico, però allo stesso tempo non è riuscito a non dirsi responsabile per quanto accaduto a Emmanuel Chidi Namdi, il 36enne nigeriano morto di botte mercoledì scorso nei pressi del Seminario. Il suo avvocato, Francesco De Minicis, probabilmente imposterà la difesa parlando di legittima difesa da parte di Mancini, ma non ha potuto negare la natura del gesto, assestando uno schiaffo ai tanti fan dell’ultima ora, nascosti su Twitter dietro l’hashtag #IoStoConAmedeo o estensori di improbabili tesi sul «razzismo al contrario», cioè contro gli italiani, con la vittima che diventa carnefice e il carnefice spacciato per vittima del buonismo.

Per il tribunale di Fermo, comunque, non esiste il pericolo di fuga dell’indagato, ma c’è la possibilità che Mancini possa inquinare le prove o reiterare il reato e per questo rimarrà nel supercarcere di Marino del Tronto, ad Ascoli Piceno. Il 38enne fermano dalle conclamate simpatie di estrema destra – malgrado i tanti che provano a negare o a minimizzare, i social network ormai pullulano di sue foto a manifestazioni di Casapound e altre fascisterie varie – si è anche detto disponibile a lasciare i propri beni (un terzo di una casa colonica e un appezzamento di terreno) a Chimiary, la moglie della vittima, la donna che lui aveva chiamato «scimmia» prima dello scontro mortale con Emmanuel. «L’inchiesta stabilirà se e quanta responsabilità penale ha Amedeo – ha detto De Minicis –, se e quanta consapevolezza del valore delle proprie azioni aveva quando le ha commesse. Quando ha parlato con il giudice era provato e sincerissimo: è un uomo che sta anche lui tra gli ultimi della terra».

Domenica pomeriggio, intanto, è andato in scena il funerale della vittima. Il Duomo di Fermo era pieno di autorità (il sindaco Paolo Calcinaro, svariati politici locali, la presidente della Camera Laura Boldrini, Maria Elena Boschi, Cecile Kyenge), di forze dell’ordine, di ragazzi rifugiati che indossavano fascette rosse simbolo di lutto. C’era anche (almeno) una parte della città, quelli cioè che sono riusciti a non rimanere indifferenti davanti a un omicidio dal chiaro carattere razzista avvenuto a due passi da casa. Corone di fiori, messaggi di cordoglio, canti africani e addirittura una nota del governo nigeriano: «Speriamo che questa sia l’ultima morte di questo tipo». Chimiary, vestita di bianco in prima fila, si è anche sentita male. Ricominciare non sarà facile per lei, anche se si registrano alcune iniziative di solidarietà: dall’Università di Ancona che si è detta disposta a farle proseguire gli studi in medicina a quella di Perugia che la aiuterà a perfezionare il suo italiano.

Don Vinicio Albanesi, il prete di frontiera che ha accolto e sposato la coppia di nigeriani, in coda alla funzione ha ribadito che non resterà in silenzio a guardare come pure qualcuno gli aveva chiesto. È una risposta alla provincia crudele, più attaccata alla difesa del proprio buon nome che alla necessità di riflettere sui propri conflitti e le proprie contraddizioni. «C’è chi prende voti con il razzismo», ha detto l’ex ministra Kyenge. Bella scoperta, i semi dell’odio sono sparsi ormai ovunque e i germogli portano la loro dose di sangue e di dolore. «Ammettiamolo: se qualcuno ritiene di potersi rivolgere impunemente a una persona diversa da sé con l’epiteto di “scimmia africana” – sintetizza bene il consigliere comunale a Fermo Massimo Rossi -, è perché sa di interpretare nel modo più esplicito e sincero il sentire di una parte della comunità».

Oggi la città si fermerà in segno di lutto e in serata piazza del Popolo ospiterà una grande manifestazione di tutte le realtà antirazziste e democratiche delle Marche. Si cerca la risposta di un popolo che, a sorpresa ma neanche tanto, un giorno di luglio si è scoperto fragile, a disagio, imbarazzato. Tra le piccole fabbriche e la retorica del buon borghese, Fermo non è poi così diversa dal resto del Paese. Ora tutti non vedono l’ora di poter tornare alla normalità, ma l’omicidio di Emmanuel è una di quelle ferite destinate a lasciare una cicatrice impossibile da ignorare.