Il giorno dopo l’attacco degli Houthi ad Abu Dhabi è stato segnato da raid aerei della Coalizione a guida saudita contro le postazioni dei ribelli in Yemen e anche sulla capitale Sanaa dove avrebbero fatto 20 morti. Più di ogni altra cosa hanno tenuto banco le rassicurazioni date dal capo di fatto della diplomazia degli Emirati, Anwar Gargash, che si è detto certo che gli Houthi non riusciranno ad insidiare il suo paese. «La destabilizzazione della regione è troppo debole per influenzare la sicurezza in cui viviamo», ha detto Gargash. Gli emiratini fanno il possibile per garantire che tutto vada come sempre, per non mettere a rischio il turismo e la finanza, due voci fondamentali per la loro economia. E forse ad Abu Dhabi non hanno accolto proprio con gioia le offerte di aiuto pubbliche fatte dall’alleato Israele. Il premier Naftali Bennett, in una lettera indirizzata al principe ereditario Mohammed bin Zayed Al Nahyan, si è offerto di sostenere gli Emirati a sviluppare sistemi di difesa per intercettare droni e missili. Un aiuto che Al Nayan potrebbe accettare dietro le quinte, per non confermare quello che pensano molti, ossia che quello di Abramo tra i due paesi non è un accordo di pace ma solo una alleanza militare. Muhammad al Bukhaiti, dell’ufficio politico degli Houthi, ha spiegato che il gruppo si era astenuto dall’attaccare il Golfo perché le truppe di terra degli Emirati avevano lasciato lo Yemen. Ma ha cambiato posizione dopo la recente offensiva a Shabwa di mercenari sostenuti da Abu Dhabi.