Prima che tutto si compia, siano prese le decisioni importanti, decisive, scelti gli uni e scartati gli altri per preparare al meglio i prossimi duelli nelle grandi città sotto gli occhi dei media e dell’intero Paese, lo scenario è dominato dai colori del deserto dell’Arizona. A Scottsdale, non lontano da Phoenix, dove negli anni Trenta Frank Lloyd Wright iniziò a costruire degli edifici a «impatto zero» sull’ambiente, destinati, secondo i progetti del grande architetto, ad inaugurare una comunità autosufficiente, sbarca ad ogni primavera il circo del baseball per il ritiro del precampionato, gli allenamenti che serviranno a definire gli uomini e i ruoli per la stagione a venire.

In Cactus League (66thand2nd, pp. 188, euro 17, traduzione di Leonardo Taiuti), un romanzo dall’andamento circolare, dove le singole storie si inseguono, come su di un campo di gioco, finendo per riconnettersi implacabilmente le une alle altre, Emily Nemens racconta le ombre che si stagliano all’orizzonte per Jason Goodyear, l’esterno sinistro dei Los Angeles Lions cui tutto riesce in partita e molto poco lontano dal «diamante». Ma se Jason è la stella che sembra annunciare la propria caduta, intorno a lui si stagliano nel romanzo d’esordio della ex direttrice di The Paris Review e Southern Review, editor e illustratrice molto nota, una serie di figure, uomini e donne di mezza età, ragazzini non ancora adolescenti, giornalisti, manager, imprenditori, atleti, tossici e ladri le cui vite ferite, incerte, sconfitte, la storia si svolge all’indomani della grande crisi scoppiata del 2008 con il crollo dei mutui subprimes, si specchiano nella favola del baseball senza però spesso trovare alcuna risposta.

La scrittrice Emily Nemens

«Cactus League» respira al ritmo del baseball e della cultura che esprime, ma sembra voler raccontare molto di più. Come è nata l’idea del libro?
Volevo scrivere un romanzo che raccontasse una comunità. Una storia che prendesse forma attraverso e intorno ad un gruppo di persone, presentando diverse figure e i loro rispettivi punti di vista, ma anche il modo in cui tutti sono collegati gli uni agli altri. Libri come Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson e più recentemente Gli imperfezionisti di Tom Rachman, hanno ottenuto un grande successo concentrandosi rispettivamente il primo su un piccolo centro del Midwest e l’altro sulla redazione di un giornale con sede a Roma. Volevo capire se fossi in grado di costruire un universo simile e tessere un’ampia rete di storie a partire da una squadra di baseball. Oltre a questo, naturalmente, non vedevo l’ora di cimentarmi con il «racconto del baseball», che è considerato una sorta di genere americano per antonomasia ma che in genere si concentra sull’eroe, o antieroe piuttosto che su una squadra o una comunità. Perciò, mi sono chiesta che cosa poteva accadere se avessi capovolto quell’impostazione.

A quelle dei singoli personaggi si alterna la voce di un ex giornalista sportivo che inquadra ogni vicenda in un contesto più largo, dove tutto si tiene, non senza contraddizioni. Il baseball finisce per assomigliare all’insieme della società americana?
Penso di sì. Guardo al baseball alla stregua di un microcosmo della cultura americana, e un potente esempio delle cose buone e di quelle cattive che contiene: anche se da scettica, suppongo di aver passato più tempo a raccontare queste ultime. Mentre scrivevo del baseball ho avuto più volte la sensazione di stringere tra le mani uno specchio nel quale si stava osservando la società americana contemporanea. Anche se forse l’immagine che veniva riflessa sarebbe stata la stessa se mi fossi concentrata su un’altra sottocultura, un altro sport professionistico, sul mondo dell’arte o quello dell’università. Temi che ricorrono nel libro, come il sentirsi perduti o ormai obsoleti e l’idea che si debba cercare di reinventarsi, sembrano rispecchiare bene gli umori di un Paese che emerge da un trauma nazionale, come è stato per l’America dopo la Grande Recessione. C’era la consapevolezza che le cose sarebbero potute migliorare, tracce di speranza miste alla disperazione.

Le vicende narrate si svolgono negli anni successivi a quella crisi, dominata dalla questione degli alloggi, e forse non a caso all’inizio e alla fine del libro incontriamo persone, anche con figli piccoli, che sopravvivono andando a vivere nelle case che gli sportivi abbandonano per mesi per seguire la stagione dei campionati o quelle che ancora non sono state terminate…
Ero davvero interessata ad esplorare la nozione di home e le molte cose che poteva significare, in particolare nel contesto della enorme crisi abitativa che si è sviluppata in quel momento. A partire dal circuito del baseball e di tutte queste persone che si spostano ogni tot mesi per partecipare ad allenamenti e campionati, mi sono interrogata su cosa potessero significare questi continui trasferimenti per gli individui, le famiglie, le comunità coinvolte. Il ruolo che in questo contesto hanno i luoghi, l’ambiente edificato, le connessioni tra gli esseri umani. Le fragilità economiche e sociali di molti si affiancano così nella storia a quelle esistenziali di un atleta professionista che ogni anno è costretto a continui spostamenti dalla natura di una stagione sportiva lunga e pesante. Il campionato di baseball prevede 162 partite, e questa è solo la stagione regolare. L’allenamento primaverile, che è al centro di Cactus League, è un altro contesto ancora: sei settimane di trasferimento per i giocatori, la necessità di trovare un alloggio temporaneo e di affrontare le conseguenze di un lungo viaggio.

Fante, Malamud, Auster e De Lillo: sono solo alcuni degli autori che hanno scritto del baseball o meglio incrociando questo sport con la storia del Paese. Cosa rende il baseball una sorta di custode della memoria e del destino d’America?
Penso che gli americani siano estremamente orgogliosi di aver inventato questo sport. E, a partire da ciò, l’esperienza collettiva di guardarlo prima negli stadi – spazi che, va sottolineato, hanno avuto una parte importante nel definire l’ambiente urbano mentre la città industriale prendeva forma – poi alla radio, e quindi alla tv, ha offerto al baseball questo spazio enorme – potenzialmente fuori misura – nell’anima e nella mente dell’intero Paese. E credo che questo elemento, unito al fatto che il ritmo dello sport è così adatto per la narrazione, abbiano reso il baseball decisamente attraente per gli autori americani.

Come disegnatrice ha realizzato su Tumblr una serie di ritratti delle donne del Congresso che hanno attirato l’attenzione sulle diseguaglianze di genere in politica. Le storie di «Cactus League» sono prima di tutto maschili, quale è il ruolo delle donne nel baseball?
Avevo ben presente come sono state raccontate le donne che praticano questo sport, vale a dire affidandosi soprattutto a talenti bizzarri, come nel recente The Resisters della scrittrice Gish Jen, o all’assenza degli uomini, come nel film Ragazze vincenti (diretto nel 1992 da Penny Marshall) che racconta il campionato di sole donne che fu organizzato durante la Seconda guerra mondiale, mentre gli uomini erano al fronte. Piuttosto che basarmi su qualche altra vicenda anomala, volevo scrivere di come le donne contribuiscono in molti modi ogni giorno a questo sport, per riconoscere, celebrare e forse rendere in tutta la sua complessità il ruolo di supporto che svolgono e che molto spesso è sottovalutato o non riconosciuto del tutto. Volevo comporre un ritratto pragmatico di questa presenza.

Ha diretto la «Paris Review» a New York e la «Southern Review» in Louisiana. Nel rappresentare la società americana si è soliti contrapporre le grandi metropoli e la provincia, le coste con l’«heartland». La letteratura partecipa alla disputa?
A volte scherzo dicendo che sono «tricoastal» – sono cresciuta a Seattle, nell’estremo nordovest del Pacifico, ho vissuto nel profondo sud e ho trascorso un decennio a New York. Inoltre, mia madre è del Nebraska, uno Stato che si trova proprio nel bel mezzo del Paese. Allora perché ho voluto scrivere del deserto del sudovest? È una zona che visitaho to regolarmente, proprio andando a seguire gli allenamenti del baseball e il posto mi ha rapito. Mi rendo conto di quale dono sia stata questa mia traiettoria in continuo movimento, visto che tutte queste diverse esperienze – ambienti urbani e naturali, grandi e piccole città in molte parti del Paese – mi hanno reso estremamente interessata ai luoghi, quelli che conosco bene e quelli che vedo per la prima volta. E come lettrice sono sempre ansiosa di vedere come chi scrive rappresenti i diversi luoghi e chi vive lì.