Il taccuino è sul tavolo di un bar di Trastevere, aperto sull’ultima pagina con il foglietto attaccato con lo scotch. «Inspirare e espirare/ avere dare/ il respiro del mondo/ in questo periodo il mondo è in apnea», scrive Emilio Leofreddi (Roma, 1958). Metafora della precarietà di quest’inedita contemporaneità, sottolineata dall’utilizzo dello scotch con la sua implicita idea di mobilità, la pagina scritta diventa per l’artista uno spazio d’evasione. «Tenere le lettere per la parola/ A come libertà». Dorso a spirale con la copertina nera tenuta dall’elastico, questo taccuino racconta di un viaggio introspettivo che è la summa di tanti viaggi fisici e mentali attraverso post-it, fotocopie, bozzetti realizzati tra un dipinto e l’altro. «La pittura diventa scrittura». Leofreddi l’ha cominciato nella fase successiva al lockdown, dopo aver lasciato anche il suo ultimo studio nel quartiere romano di Monteverde. «Lavorando da casa ho tirato fuori le idee. Inspirare ed espirare…». La prima pagina che dà il titolo al taccuino-opera è «Cut up di pensieri e arte in libertà, dal 2003-2016 al 2021», dove l’ispirazione è nella citazione stessa della tecnica dadaista attraverso l’elaborazione di William Burroughs. Pensieri silenziosi e anche rumorosi, veloci e sedimentati, colorati – a dispetto della prevalenza dell’inchiostro nero – perché «i colori sono nelle parole», come afferma Leofreddi.

Equilibrio
C’è anche la scritta-leitmotiv «non chiedete all’acrobata come fa a camminare sul filo… perderà l’equilibrio» che in molte sue opere è associata al disegno di un uomo che procede in equilibrio, un passo davanti all’altro: il funambolo Philippe Petit che il 7 agosto 1974 sfidava la gravità camminando nel vuoto, tra le Twin Towers di New York. Non c’è una formula predefinita, sembra dire l’artista, ognuno deve cercare dentro di sé la forza per andare avanti con coraggio e anche un pizzico d’irrazionalità. Riflessioni ad alta voce. Sono diversi, poi, i riferimenti all’oriente, ai viaggi a bordo dei «mugic bus» che Leofreddi fa alla fine degli anni Settanta. Come per altri artisti prima e dopo di lui – tra loro Francesco Clemente, Luigi Ontani, Shama e Tarshito, Samagra (Anna Maria Colucci) – l’India è un luogo di grande ispirazione. «Da Alessandro Magno ai magic bus e fu Bollywood», scrive l’artista ricordando l’esperienza del progetto Dreams (diario di viaggio) del 2005 con la realizzazione dei tappeti tessuti a mano dall’ong TCV di Dharamsala a sostegno dei bambini del Tibetan Children’s Village. In quell’occasione, insieme al filmmaker Paolo Brunatto, realizzò anche il video Corrispondenze dall’India.

Hippie Trail
Ma torniamo al 1977 quando – con il suo primo passaporto, 300 dollari in una tasca e nell’altra Flash. Katmandu il grande viaggio (1971), il libro autobiografico di Charles Duchaussois – Leofreddi decide di mollare gli amici e la ragazza di allora in Grecia, dove era andato per una vacanza estiva, e proseguire da solo il viaggio a Istanbul da dove partiva l’Hippie Trail. «Oggi la dimensione del magic bus è romantica e poetica ma all’epoca per noi era avventurosa, folle. A Istanbul c’era un locale, il Pudding Shop a Sultanahmet, che era un punto di ritrovo per i viaggiatori. Era il facebook dell’epoca con la bacheca dove tutti lasciavano i messaggi: oggi sono arrivato qui… parto il tale giorno e vado in quel posto…

Verso l’Afghanistan
Lì è iniziato anche il mio viaggio. I miei genitori pensavano che fossi in Grecia, la prima cartolina che gli ho scritto è stata dopo due mesi: qui ci sono le donne in burqa, i cammelli… Ero in Afghanistan! Avevo appena compiuto 18 anni e avrei dovuto fare il servizio militare, ma non volevo farlo. Nel viaggio on the road si era aperti a tutte le esperienze. Era una dimensione di una bellezza unica. Certo, c’era anche la moda degli occidentali di andare a cercare se stessi in oriente, ma lasciamo stare! Quando sono arrivato a Herat – all’epoca l’Afghanistan era un paese magnifico, uno dei più belli del mondo islamico – ho trovato mezza Roma. Stavano tutti sui tetti con gli abiti afghani e i chilum con cui fumavano di tutto. Di solito si fermavano lì e poi tornavano indietro. Io, invece, il viaggio l’ho continuato! Le tappe dei magic bus erano Herat-Kabul-Peshawar-Lahore fino in India. Sono sceso a Lahore e da lì ho proseguito con i treni e altri mezzi. Al posto della guida turistica seguivo le indicazioni di Duchaussois in Flash. Katmandu il grande viaggio: la sua storia, i suoi hotel, le sue indicazioni. Non dipingevo ancora, ho cominciato a disegnare in Turchia, prima del rientro in Italia: feci anche un fumetto che fu pubblicato da Re Nudo».

Leofreddi è tornato in India nel 1980, soggiornando a Varanasi (allora Benares) per un anno e mezzo e, successivamente, con la moglie Marina e la figlia Asia nel 2005, 2009 e 2016, attraversando il subcontinente da Goa a Chandigarh, Rishikesh e Haridwar fino a Mumbai e andando anche a Katmandu in Nepal. Di quei viaggi, nelle sue opere e anche in qualche pagina del taccuino, ritroviamo biglietti del treno, timbri, frammenti di vissuto. Ci sono anche delle polaroid (negli anni ‘80 Leofreddi è stato fotografo di moda, lavorando nello studio di Cristina Ghergo) che registra lo stato del momento con gli incontri, i ritratti di amici, Marina e la vita domestica.

Appunti attraversati da quell’ironia sottile che ritroviamo nell’arte stessa di Emilio Leofreddi. «Leonardo, Chagall e Ferlinghetti…», «Bacco, Tabacco e Venere…», «Dove vanno d’inverno le anatre?» citando Il giovane Holden di Salinger senza l’esclusività del riferimento a Central Park. «È anche un mettere ordine tra i pensieri». «Ricompra le tue cartine mancano dieci foglietti alla fine».