Tutti conoscono Rosa Parks, la sarta (e attivista) afroamericana che nel 1955 si rifiutò di cedere un posto a sedere a un passeggero bianco su un autobus di Montgomery, in Alabama, dando il via al boicottaggio dei bus, atto che inaugurò la stagione delle proteste non violente per i diritti civili dei neri e contro la segregazione. Lo aveva già fatto 9 mesi prima la giovane Claudette Colvin, il cui nome risulta invece ignoto ai più, la cui storia è stata recuperate dalla giornalista Tania de Montaigne nel 2015, nel suo libro Noire. La vie méconnu de Claudette Colvin. Basandosi sul racconto della Montaigne, la fumettista e illustratrice francese Emilie Plateau ha disegnato la triste vicenda di Claudette Colvin, e il libro, pubblicato da EinaudiEL, vincitore il premio Andersen 2020 per il fumetto, restituisce lo spessore di una ragazzina al centro di una vicenda in cui tutto sembra andare per il verso non desiderato, tranne la sua determinazione e la sua voglia di giustizia. Ne abbiamo parlato con l’autrice che sarà ospite di Babel, il festival di letteratura e traduzione di Bellinzona, il prossimo 17 settembre.

Emilie, come sei venuta in contatto con il libro di Tania de Montaigne e quali sono state le tue prime impressioni? Hai avuto qualche intuzione grafica immediata?
Ho scoperto Nera. La vita dimenticata di Claudette Colvin mentre mi stavo prendendo una pausa dal fumetto. Avevo pubblicato diverse storie autobiografiche e poi mi ero concentrata sull’illustrazione di libri per ragazzi. Un amico disegnatore mi ha contattata, dicendomi che Tania de Montaigne stava cercando qualcuno per ri-raccontare il suo libro, dargli nuova vita. Mi sono innamorata di Noire non appena l’ho letto. Sono rimasta molto commossa dalla storia di Claudette Colvin e dalla profonda ingiustizia che ha subìto, ma anche entusiasta dello stile letterario di Tania: è molto incisivo, molto essenziale. Riflette il mio stile come disegnatrice.

Lo chiedo perché l’aspetto grafico del tuo lavoro si può definire minimale: l’ambientazone della città contrasta con i sobborghi dove vivono Claudette e gli altri personaggi neri, ma quando l’ambientazione svanisce I personaggi sono spesso piccoli e «persi» nella pagina bianca. Inoltre usi una semplice bicromia. C’è un’idea centrale che volevi veicolare e che determina queste scelte?
Io penso che la storia di Claudette Colvin sia la storia di una donna a cui non hanno dato spazio; una donna che è stata messa in disparte, cancellata. Rappresentarla in grandi pagine bianche sottolinea questo aspetto: come seguire i propri sogni quando si è una giovane donna nera in un mondo razzista e misogino?

Questa solitudine nella pagina trova il suo opposto nella rappresentazione delle masse che rappresenti talvolta in modo molto dettagliato e altre volte utilizzandone solo il contorno. Se è un modo per suggerire le diversa posizione della comunità nera verso Claudette e Rosa, non è anche un’allusione a una massa giudicante e a un’altra, silenziosa e compiacente?
Sì, senza dubbio. Ho riflettuto molto sulla scelta dei colori. Inizialmente, Claudette è in bianco e nero, perché la vedo neutra. Ma non appena si trova esposta allo sguardo dei bianchi, oggetto della loro violenza, appaiono i colori. Tutti i colori del libro sono simbolici. I colori rappresentano anche le emozioni, l’imminenza del pericolo o degli atti di violenza, come le pagine che ho voluto tutte nere.

Anche la narrativa verbale è molto accattivante: la storia è raccontata da un insolito narratore in seconda persona che ha l’effetto di coinvolgere il lettore nella situazione di Claudette, ingiusta e drammatica. Credo che questa fosse la forma originaria del racconto, la grafica si adatta a questo stile in qualche modo?
La scelta di Tania, quella di coinvolgere i lettori con la seconda persona, di invitarli a fare un viaggio nel passato, di entrare negli Stati Uniti in piena segregazione e dire loro ‘Da questo momento sei nero e non hai più nessun diritto’… questo mi ha colpito molto. L’adattamento è stato complesso, perché nel libro non c’è quasi nessun dialogo. Ho dovuto alternare questi passaggi in seconda persona, utilizzati come voice off, a delle scene parlate, così da creare un ritmo. Per la stessa ragione ho scelto un’alternanza tra scene d’interno (limitate all’essenziale) e paesaggi all’esterno, molto più dettagliati.

L’aspetto minuto e infantile dei personaggi è un riferimento alla giovane età della protagonista all’epoca dei fatti o era anche un modo per presentare la realtà dal suo punto di vista?
In tutti i miei fumetti mi piace rappresentare i personaggi racchiusi in grandi spazi bianchi, sfondi di ampio respiro, in modo che trovino la propria identità. In Noire, tutte le scene sono viste di fronte: i lettori devono guardare Claudette Colvin così come lei guarda il proprio destino.

La storia di Claudette non è stata realmente dimenticata, ma forse una ragazzina come lei non era degna di passare alla storia come la prima persona ad aver infranto le regole della segregazione, perché la sua figura non era conveniente come quella di Rosa Parks. Oggi accadrebbe forse il contrario, non credi?
Claudette è stata messa in disparte perché hanno voluto rappresentarla come psicologicamente instabile. Veniva anche da una famiglia poverissima. Si voleva che gli americani potessero identificarsi con questa donna, serviva dunque qualcuno ‘di tutto rispetto’, che avesse un marito, un lavoro. Doveva essere irreprensibile. Rosa Parks non era facoltosa, lavorava come sarta, ma si cuciva i propri vestiti, era molto curata. La storia ufficiale dice che Rosa Parks non ha voluto cedere il suo posto a un bianco perché aveva male ai piedi, ma questo non è vero. L’hanno dipinta come fragile, invece era politicamente attiva: aveva militato per anni contro la segregazione.
Penso sia complicato decidere chi sia destinato a diventare un eroe, o un’eroina. Si tratta di storytelling, di ciò che ricordiamo quando una persona è al centro di una lotta politica. Non so se Claudette Colvin sarebbe scelta come simbolo oggi. Anzi, ho l’impressione che siamo tutti ancora molto conformisti, attenti a non uscire troppo dagli schemi.

La storia è ambientata durante un periodo di profondo dibattito sociopolitico e di grandi cambiamenti nella società statunitense. Come fumettista come ti sei rapportata a questo contesto, visto che il libro è rivolto a giovani lettori?

La prima edizione di Noire è stata curata dall’editore Dargaud per un pubblico di adolescenti e di adulti. In italiano, della traduzione si è occupata una casa editrice per ragazzi più giovani. Per quanto mi riguarda, non ho mai pensato di rivolgermi a dei bambini; il fatto che il pubblico italiano sia diverso è stata una fortunata coincidenza. Ne sono molto felice: è importante che la storia di Claudette Colvin sia conosciuta e letta da più gente possibile.

(Traduzione dal francese di Martina Willimann)