Se Maroni conta su «tre milioni di Lombardi» da portare al tavolo della trattativa, il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini si è limitato ad incassare il voto favorevole del suo consiglio regionale, ma in compenso ha già messo in cassaforte una «dichiarazione di intenti» siglata direttamente con Gentiloni. Se Zaia favoleggia di tenere in Veneto «i nove decimi delle tasse», il Pd emiliano-romagnolo si è tenuto lontano dalle rivendicazioni economiche mantenendo invece il discorso ben ancorato al «che fare», invece che battere sul tasto del «quanti soldi trattenere».

È tutta qui la differenza tra i referendum di Lombardia e Veneto e la via emiliana all’autonomia. In Emilia-Romagna la strada scelta è stata sicuramente la meno spettacolare, ed è passata il 3 ottobre scorso da un voto che ha visto Pd, Sinistra Italiana e Articolo1-Mdp schierarsi per il “sì” al negoziato. Il 18 ottobre è arrivata poi a favore di telecamere la dichiarazione d’intenti siglata da Bonaccini col premier. Un testo stringato e decisamente vago («carta straccia» secondo Zaia, propaganda per il M5S) in cui si legge che «le materie interessate saranno oggetto di ogni necessaria valutazione».

La data della firma è importante: l’accordo è arrivato 4 giorni prima dei referendum del nord. Un modo per anticipare mediaticamente Maroni e Zaia e indicare che un’alternativa alla via leghista all’autonomia c’è ed è aperta a tutte le Regioni che vorranno seguirla. Al contrario del Veneto poi, che ha annunciato di voler tenere per se «tutte e 23 quelle che sono in gioco e non una di meno», l’Emilia punterà ad ottenere maggiore autonomia legislativa e amministrativa in 4 aree considerate strategiche: lavoro, istruzione tecnica e professionale; internazionalizzazione delle imprese e ricerca, sostegno all’innovazione; sanità; territorio, ambiente e infrastrutture.

Nel parlamentino regionale a fare le barricate è stata la Lega, che da tempo vagheggia di separare Emilia e Romagna. I consiglieri del Carroccio, in regione il secondo partito, hanno addirittura sventolato le bandiere della Catalogna. Ma Bologna non è certo Padova o Treviso, e per ora quelle leghiste sembrano iniziative relegate nell’ambito del folklore politico. A schierarsi contro Bonaccini anche il M5S.

«La democrazia diretta vince – attaccano i grillini – rifiutare un percorso partecipato per arrivare al referendum è stato un grande errore».