«La nostra iniziativa sta avanzando, sono tutti impegnati, da Ban Ki moon a John Kerry, dall’Europa ai Paesi arabi. Tutto il mondo». Così il capo negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat, ieri davanti alle telecamere di Al Jazeera si affannava a spiegare i «progressi» delle trattative per arrivare al cessate il fuoco. Parole su parole che non bastano a mascherare il fallimento totale di una “diplomazia” che in realtà esiste solo sulle pagine dei giornali. Come sempre decidono solo gli Usa.

L’Amministrazione Obama può fermare subito i massacri e imporre una soluzione negoziata a Israele ed Egitto volta a cambiare la condizione di Gaza, da prigione a un territorio libero. Perché è un diritto della popolazione civile palestinese e non perché a chiederlo è Hamas.

Washington si mostra rattristata e preoccupata per le morti dei civili e dei bambini a Gaza. «Il bombardamento di edifici dell’Onu adibiti a rifugio è totalmente inaccettabile e indifendibile», ha detto ieri il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Subito dopo l’Amministrazione Usa apre le porte dei suoi depositi strategici all’Esercito israeliano perché si rifornisca di proiettili e granate per continuare i tiri di artiglieria. E a completamento di questo atteggiamento paradossale, a Gaza c’è l’agenzia governativa statunitense Usaid che distribuisce aiuti umanitari ai palestinesi, sfollati perché le loro case sono state distrutte dai proiettili made in Usa.

Erekat ieri parlava di progressi, di passi in avanti ma ad avanzare in queste ore sono soltanto i reparti corazzati israeliani che sono arrivati a Nusseirat, nella parte centrale di Gaza. Sono stati richiamati altri 16 mila riservisti e le truppe israeliane premono da est e ora anche da sud sul capoluogo Gaza city. Presto potrebbero spaccare in due la Striscia, il centro-nord dal sud.

Il premier Netanyahu, ieri prima dell’ennesima riunione di governo, è stato chiarissimo: l’offensiva militare non si ferma. Alle critiche, alle accuse dell’Onu di violazione sistematica del diritto internazionale, agli appelli a bloccare le stragi di civili, ha replicato che con o senza il cessate il fuoco Israele non si fermerà nella ricerca e distruzione delle gallerie sotterranee usate da Hamas per i suoi attacchi. E così è stato.

All’alba a Jabaliya una bomba sganciata contro una moschea – dove secondo Israele erano nascoste armi – ha provocato una quindicina di feriti tra gli sfollati che avevano trovato rifugio nell’adiacente scuola dell’Unrwa. Sempre a Jabaliya, mercoledì mattina, altri 20 sfollati erano stati uccisi da tiri di tank contro un’altra scuola Unrwa.

La giornata di ieri è stata un susseguirsi di notizie di attacchi aerei e cannonate. Tutti giustificati da «motivi di sicurezza», tutti inquadrati all’interno delle operazioni volte a «distruggere la rete di tunnel sotterranei usati da Hamas» e a fermare i lanci di razzi. Eppure i civili dentro Gaza – ormai per un 40% «zona di guerra«, quindi inaccessibile dicono le Nazioni unite – vedono solo cadere bombe su edifici, morire persone innocenti, rimanere gravemente feriti o uccisi bambini di pochi anni. Nessuno si sente sicuro, quando si vedono in cielo i droni, non resta che sperare che non sia lì fermo in quel punto per sganciare un missile contro qualcuno o qualcosa.

Per esperti del diritto internazionale, come gli ex Relatori dell’Onu per i Diritti Umani, John Dugard e Richard Falk, Israele punterebbe proprio a provocare panico tra i civili come forma di pressione sulle organizzazioni armate con le quali è in conflitto.

Da parte sua l’ala militare di Hamas continua a lanciare razzi e a tentare infiltrazioni in territorio israeliano. A quasi un mese dall’inizio dello scontro militare con Israele, Mohammed Deif e gli altri comandanti delle Brigate Ezzedin al Qassam dovrebbero anche domandarsi se uno, almeno uno degli obiettivi da ottenere annunciati l’8 luglio, abbia qualche possibilità di essere raggiunto. A guardare l’intransigenza israeliana e, nonostante le stragi di innocenti, la chiusura egiziana verso qualsiasi miglioramento della condizione di Gaza, e quello che accade sul terreno e ciò che non accade sui tavoli della diplomazia, appare un obiettivo molto lontano persino il rilancio del vecchio accordo del 2012 mediato dagli americani.

Comunque si voglia leggere la situazione, l’emergenza umanitaria provocata dall’offensiva di terra israeliana comincia a diventare un problema gigantesco, destinato ad influenzare presto le decisioni di politici e capi militari a Gaza che già suonano le trombe della “vittoria”. A quello punta Israele per ottenere un cessate il fuoco incondizionato che non cambierà la condizione della Striscia. «Siamo ormai sommersi da 226 mila sfollati. Da noi possono ricevere solo acqua distillata e cibo. Per tutto il resto, ciascuno dovrà provvedere da sé», ha avvertito il portavoce dell’Unrwa Adnan Abu Hasna, riferendo dell’aumento vertiginoso del numero degli sfollati negli ultimi giorni. I civili palestinesi «sono sull’orlo del precipizio», hanno denunciato i vertici dell’Unrwa.

Nelle stesse ore a Ginevra Navi Pillay, Alto Commissario per i Diritti Umani denunciava le violazioni israeliane ma anche di Hamas del diritto umanitario internazionale. Pillay ha anche condannato gli Stati uniti che vendono armi agli israeliani che poi vengono usate contro i civili palestinesi. E nel frattempo il ministero palestinese della sanità ha aggiornato il bilancio delle vittime: superati i 1.400 morti, i feriti assommano a più di 8.000. Ieri i palestinesi uccisi sono stati altre decine, a Khan Yunis, Gaza city e in molte altre località.